venerdì 24 agosto 2012

Briganti di Terra d'Otranto: Kronos taranta

Carissimi lettori, stasera vi voglio parlare dell'ultimo cd di un gruppo salentino veramente notevole, di quelli che, pur innovando molto, restano altrettanto sinceramente legati alla tradizione. Il gruppo di cui parlo si chiama Briganti Di Terra d'Otranto, è prodotto da sempre dalla Italian World Music di Bologna. Il loro ultimo cd, caratterizzato come tutti gli altri dalla pacifica (troppo pacifica per gli apostoli dell'innovazione radicale come unica forma di coraggio possibile) convivenza tra brani d'autore e tradizionali. I Briganti non compongono perché la tradizione va loro stretta, per loro il comporre è naturale come il respiro e le tecniche e gli stilemi della tradizione sono sangue del loro sangue. Per capirlo basta ascoltare anche solo la prima traccia di questo dolce e diabolico "Kronos taranta". Il brano è "Sullu stradone", una bella pizzica in minore, cantata da Tonino Priolo, una delle due voci maschili del gruppo, con il suo solito (ma sempre strano) misto di ruvidità e dolcezza. Il brano è reso corposo sui gravi dal basso elettrico di Priolo, che però non fa mai male alle orecchie, non inventa mai niente di forzato. Il testo è caratterizzato dalla presenza del titolo in tutte le strofe. Il primo salto nella tradizione lo si fa con un classico (di acquisizione recente) della zona brindisina, quella "Pizzica di Torchiarolo" raccolta e resa celebre da Enza Pagliara anche durante una delle edizioni del Concertone della Notte Della Taranta. La versione dei Briganti, pur essendo rispettosa, disprezza il déjà vu, anche grazie all'energica e bella (ma non limpida né tantomeno lineare) vocalità di Antonella Esposito. L'interpretazione, fino al finale esplosivo, si tiene su un ritmo di pizzica lenta sempre gradevole da sentire (io preferisco questo stile alle "turbopizziche"). E andando avanti si continua con una bella versione di "Na mujere vascia", brano che ultimamente è molto cantato, ma solo ora sta conoscendo notorietà generale. Ancora mi ricordo di una versione live che sentii a San Cassiano (LE) dove Tonino Priolo, grande improvvisatore di testi (ecco dove innovano i Briganti, altri gruppi? inginocchiatevi!) nominò il paese facendomi divertire tanto. Ed eccoci ad un brano in lingua grika, nei cd dei Briganti non mancano mai, ossia la "To, to, to", che in tanti aspetti ricorda la "Nia, nia, nia", così ben cantata dagli Zoè nell'ormai cult "Terra", disco del 1997 che da molti punti di vista inizia la storia moderna della riproposta salentina. Il brano è cantato da Antonella Esposito, sostenuta con dolcezza inappuntabile da Giovanni Esperti (chitarra a dodici corde) e Tonino Priolo (basso). Tornando alla pizzica si ha il piacere (parola abusata ma in questo caso correttissima) di ascoltare i voli leggiadri dell'ottavino di Stefano Blanco, che, partendo dalla "Tarantata" di Luigi Stifani, si avventura in bei giri in tonalità di sol, tono che porta automaticamente lo strumento colto a ricordare l'insuperabile gaiezza dei flauti di canna popolari (vi ricordate quello di Roberto Raheli degli Aramirè in "Pizzica con flauto"?). Tornando alla tradizione cantata, si fa un omaggio al grande e giustamente indimenticato Pino "Zimba". Il brano scelto è ovviamente l'"Aria caddhipulina", che forse come nessuno sintetizza lo spirito dello "Zimba" più vero, la loquacità, anche impudicamente volgare, di questa famiglia di aradeini storici ed autentici suonatori di musica popolare salentina e pizzica. La versione da studio è addolcita, non si direbbe nello stile dei Briganti, soprattutto non lo direbbero coloro che hanno sentito le versioni live in concerto o nel disco "Briganti di Terra d'Otranto live 2010". Qui si rispetta molto Zimba, non si tocca la fonte. C'è solo un "ne preciamu" che sostituisce un troppo neutro (e forse fiacco) "ne sapimu". Tornando alla pizzica e alle composizioni del gruppo si canta "Paese anticu", brano sulla condizione di sfruttamento che una volta affliggeva i contadini ed ora manda in crisi un numero crescente di persone di differenti ceti sociali. Brano bello, la denuncia è velata, non ha la durezza delle canzoni con data di scadenza (molti brani d'autore dell'attuale scena salentina tra un po' non si potranno più cantare, saranno superate per la loro forma forte e rabbiosa, direi perfino frustrata). Il brano successivo è un momento fortemente emotivo, difatti è una tarantelluccia che sfrutta e ricorda gratamente Fabrizio De Andrè e la sua "Volta la carta". Il brano è "composto" con quello stile al limite estremo tra tradizionale e d'autore, difatti alcune strofe sono tradizionali, altre si riconoscono con leggere rielaborazioni. Il brano successivo è una "Tarantella calabrese", che se volessimo essere pignoli si potrebbe accusare di troppa vicinanza col Salento. Il brano in più di una strofa ricorda Otello Profazio, grande e insuperato ricercatore e divulgatore della tradizione di quella terra e del meridione in genere (un po' disonesto, poco filologico con le fonti e un po' ladruncolo). Il gruppo, come già aveva fatto con la bellissima "Pensieri de nu brigante" nel cd "Focu de paja", ritorna a cantare del brigantaggio, cantando stavolta nei panni di un brigante che sa benissimo di essere braccato ("Braccatu" è il titolo della canzone in questione), ma che trova nell'amore la forza di andare avanti. Musicalmente è una bellissima ballata, tra lo stornello e la canzone d'autore, che potrebbe anche segnare il futuro e la rinascita del canto narrativo, uno di quei generi che l'interesse generalizzato per la pizzica ha fatto restare nel dimenticatoio della storia. Quando torniamo alla tradizione lo facciamo avendo il piacere di sentire "Lu scarparu", incisa dagli Alla Bua nel 1999, da allora uno dei loro cavalli di battaglia, ma, almeno per quanto so io, poco sfruttata dalla riproposta. La versione dei Briganti è semplice e leggera, esplosiva come poche, anche grazie all'etereo ottavino di Stefano Blanco, che veramente fa volare via. Il testo non presenta varianti particolari, non per questo delude. L'ultima traccia è una variazione su "Brigante se more", brano di Eugenio Bennato entrato nella "Koinè" della tradizione meridionale, quella musica che si può eseguire in maniera indifferente ed antifilologica dal basso Lazio alla Sicilia. Fortunatamente non c'è il testo, quindi non mi arrabbio (come non amo il Nord secessionista, non amo quel Sud che si vorrebbe libero da tutto il resto d'Italia e vorrebbe tornare al Regno delle Due Sicilie). Il finale, ancora una volta, rimanda a Fabrizio De Andrè e ad una delle più belle tarantelle di cui la storia della musica italiana si vanta: "Bocca di rosa". Il cd è caldamente consigliato, è acquistabile su Itunes o sul sito della Italian World music di Rosario Maffucci che lo ha prodotto.

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