venerdì 3 dicembre 2010

Lucio Dalla e Francescde Gregori: "Workinprres"

Carissimi lettori, riesco a mantenere una promessa che feci quando recensì la prima data del tour "Work in progress" di Lucio Dalla e Francesco De Gregori, ossia finalmente riesco a recensire il cd che ne è scaturito.

Il disco in questione si apre con un brano inedito dal titolo "Non basta saper cantare", che fortunatamente ora è stato scelto come singolo per trainare questo disco, per rimediare all'errore che secondo me è stato commesso facendo sì che questo disco fosse annunciato con "Gigolo", uno dei brani più insipidi di Dalla e De Gregori che io abbia mai sentito. Comunque il brano è una ballata che rimanda molto a "Santa Lucia" di Francesco De Gregori, già presente in "Banana republic", di cui questo progetto è un aggiornamento giocoso e bello. Il brano è una di quelle ballads sulla vita che ad entrambi gli autori vengono ancora bene.

Il percorso tra i classici dei due autori inizia con "Tutta la vita" di Lucio Dalla, che viene cantata insieme da entrambi ma più da De Gregori, che gli dà un'essenza fortemente blues o dylaniana. In questa versione il brano riscopre la sua anima latina, tramite l'inclusione di numerose percussioni etniche che rimandano a Cuba. È interessante sentire Dalla che si prodiga nel suo inconfondibile "scat" mentre De Gregori suona un'armonica.

Ed eccoci ad un Francesco De Gregori che ci interpreta "Anna e Marco" con una bellissima tenerezza, che io non gli sentivo da tempo. Quando Dalla entra il canto si sporca, diventa jazzato, perché lui è uno di quelli per cui la musica leggera va arricchita perché opprime ma non si può abbandonare (per motivi economici: forse!).

Comunque in queste occasioni ancora riesco a provare emozioni ascoltando questi due mostri sacri che si stanno divertendo davvero, cosa che la musica cosiddetta leggera non mi trasmette quasi mai.

E con un inizio a tempo di charleston arriva la prima incursione nel repertorio di Francesco De Gregori, con il brano "Titanic". L'atmosfera che si respira è veramente rilassata, libera e liberatoria, i due cantanti intrecciano molto armoniosamente i propri stili, alternando strofe singole a piccole parti a due voci. Nell'ultima strofa è da notare la sostituzione della parola "sposarci" con "provarci".

Ed arriviamo con piacere ad una molto bella versione de "La leva calcistica del '68", introdotta da un graffiante assolo di sassofono di Lucio Dalla. Il canto sembra completamente affidato a De Gregori, mentre Dalla dà delle pennellate di sax contralto, che precedono la sua entrata anche a livello di voce. Il secondo ritornello è affidato a Lucio Dalla, che fa degli interessantissimi finali calanti, dove scende di circa un'ottava e mezzo. Questo effetto, invece di indurire il canto, lo addolcisce, prima di lasciare spazio ad un dialogo tra il sassofono di Dalla ed una chitarra elettrica che si abbandona a fraseggi leggermente blues, subito equilibrati da una certa melodicità.

Il ritorno al repertorio di Dalla si effettua con "Canzone", brano che live perde sempre, seppur è sempre piacevole e leggero. Trovo che niente esalti la dolcezza della melodia come l'orchestrazione che si riscontra nella versione da studio presente nel cd "Canzoni". In questo brano, come vuole la struttura melodica, Dalla viene aiutato da delle coriste molto abili. Le improvvisazioni non sfociano mai in giri che rimandano a stilemi non italiani. È geniale l'imitazione del mandolino da parte di Dalla, che precede un breve intervento di De Gregori, che riscopre il suo avere iniziato come cantante di musica popolare nordamericana ed italiana al folkstudio di Roma. L'ultimo ritornello è diviso tra una parte interpretata a vocalizzi ed un'altra dove il testo viene regolarmente cantato.

Dal repertorio di Dalla viene estratta anche "Enna", brano a cui il cantante è molto legato, mentre invece io non l'ho mai amato. Nonostante ciò devo riconoscere che con questa versione acustica acquista un certo fascino, anche se non mi chiedete d'amarlo (ripeto!). Non amo, credo d'averlo già detto ma con l'occasione lo ribadisco, i brani che mascherano la politica dietro un muro di buoni sentimenti, a questo punto datemi una sincera canzone d'amore (vedi "Frasi d'amore" di Don Backy o "Bell'amore" di De Gregori).

Il brano si chiude con una bruttissima coda rock, dove Dalla dialoga con una banale chitarra elettrica con dei vocalizzi assolutamente indegni di lui.

Quando si torna a cantare De Gregori si interpreta uno dei brani più belli, forti e profondi del cantautore romano, giustamente asceso al grado di classico della canzone italiana. Mi riferisco a "La storia", canzone sulla condizione umana tra le più intime e ben fatte che mi sia dato di conoscere. Molto bello è anche l'intervento di Dalla con il clarinetto, che dialoga con il pianoforte e con il canto semiparlato di De Gregori. È strano sentire un leggero accenno di valzer durante la conclusione, ma qui è tutto bello, niente disturba.

Avevamo parlato dei rimandi che questo disco contiene a "Banana republic". Il brano che continua la scaletta potrebbe rimandare alla title track di quel disco, perché è un ritmo latino dolce e ruffiano. Il brano racconta dei viaggiatori, di quel viaggio che purtroppo fa perdere le radici, cosa che a molti piace in questo mondo dove essere globalizzati pare un obbligo. Bellissimo l'accompagnamento, molto buono anche ilcanto, abbastanza pulito, pieno di melodia italiana. Ancora una volta Lucio Dalla ci delizia con la sua personale riproduzione vocale del "tremolo" del mandolino. Sembra uno di quei brani alla De Gregori, di quelli che raccontano le atmosfere d'inizio Novecento, come "L'abbigliamento del fuochista".

All'inizio di questo articolo avevo citato "Santa Lucia" perché "Non basta saper cantare" me la ricorda, ed eccola qui riscoperta e valorizzata. È emozionante sentire De Gregori che alla fine del suo primo intervento riesegue uno stacco su una "i", tipico dello stile del cantautore romano degli anni Settanta. È un brano pieno di tenerezza e leggerezza, sentimenti di cui l'ascolto di questo disco fa fare incetta.

Quando si torna a prendere in mano il canzoniere di Dalla si ruba una perla ad "Automobili", ovvero "Nuvolari". Dispiace un po' l'abbassamento di ben due toni da sol a mi, ma probabilmente il bolognese non ha più il suo mitico falsetto, e soprattutto in tono originale De Gregori non potrebbe partecipare al canto. De Gregori esegue la prima parte lenta, rallentandola ancora, facendola diventare un po' ambient, ma forse gli dà un'atmosfera che non la raprpesenta. Quando si riprende a ritmo standard, Dalla riprende le redini del canto, con una forte teatralità sulla parola "chiusa", che diventa quasi il perno della frase melodica, prima di un giocoso tentativo di imitazione del rombo della macchina (da parte di Dalla, ovvio!). Dispiace ancora una volta sentire Dalla cantare su note più basse delle sue note naturali, mal'età non perdona nessuno (ancora Zero riesce a fare cose favolose, ma questa è altra musica!).

È un po' deludente il finale, che si chiude su la parte lenta eseguita da De Gregori con le atmosfere ambient di cui sopra.

Il brano successivo è una perla del canzoniere di De Gregori, che viene iniziata da Lucio Dalla. Ci riferiamo a "Viva l'Italia", che perde in parte il suo tocco internazionale in favore di una certa italianità o anche di una certa anima natalizia propiziata dalla presenza dei campanelli (fortunatamente sporadica!). Purtroppo anche qui ritroviamo i deplorati coretti criticati già in occasione della data zero. È da notare la sostituzione della parola "nuda" con il termine "povera". Nel finale De Gregori suona un'armonica in la rigorosamente lamella per lamella, concludendo il brano con una scala sulla posizione di soffio, chiusa da un'interessante tremolo sul terzo la dello strumento.

Ancora dal canzoniere di De Gregori viene "L'agnello di Dio", che acquista un'anima rock, solo in parte addolcita da alcuni particolari dello stile sassofonistico di Dalla, che non è mai completamente americano, poiché Dalla aveva iniziato anche come sassofonista di liscio. In questo brano ci sono molte strofe modificate in profondità. È interessante il trillo dolcissimo che Dalla esegue durante la parte lenta del brano, l'unica che io ho mai amato, in quanto, anche se il brano ha un testo profondo e tagliente non mi è riuscito mai ad arrivare per la sua musica che non mi ha mai convinto. Forse qualcuno di voi lo avrà anche sospettato, per me la prima cosa che mi deve colpire in un brano è la melodia, il testo non basta, arriva comunque dopo.

Un'altra perla di De Gregori continua la scaletta, ovvero la ballata "La valigia dell'attore". La melodia è distesa, larga e così è cantata dall'autore. Interessanti gli archi che danno una cornice classica a questo brano, unica che le si addica effettivamente, come ad ogni pezzo che abbia una struttura sviluppata. La seconda parte del brano, come sempre, è interpretata da Dalla e De Gregori in condivisione, o "a contrapunto", per usare un termine caro alla tradizione dei payadores sudamericani. Quando il brano è cantato da Dalla si tinge di jazz, ma il canto non si sporca mai troppo, il bolognese ha un grande rispetto di ciò che non gli appartiene.

Ed ecco Marco Alemanno, grande amico e compagno inseparabile di Dalla, che all'inizio del secondo disco introduce "L'abbigliamento del fuochista", una delle canzoni ispirate alla tragedia del titanic.

Ed eccoci all'"abbigliamento del fuochista", interpretata in maniera veramente convincente. Il brano è una testimonianza toccante di uno dei lavoratori del Titanic, uno dei tanti italiani che grazie a questa tragedia vedranno trasformata la loro fortuna in fallimento. Queste storie, forse, ci dovrebbero far guardare quelli che ora vengono da noi con altri occhi, anche perché non dovremo aspettare molto tempo per dover scappare un'altra volta da questo paese infido. Interessanti sono stati gli interventi di sassofono, che in questo frangente assumono una matrice eniquivocabilmente liscio.

Quando si torna a cantare Dalla si interpreta una "Disperato erotico stomp", che credo non avesse mai conosciuto versioni dal vivo registrate. Questo brano è giocoso sin dall'inizio, la trasgressione del testo e della tematica si riverbera quasi in ogni singola sfumatura del canto dei due interpreti. Veramente spassoso, anche per la variazione al rif musicale che scandisce il passaggio da strofa a strofa. Favoloso il tentativo (devo dire riuscito!) da parte di De Gregori di imitare uno stile tipico di Dalla sulla parola "grande". Curioso è anche il rallentamento in corrispondenza dell'ultimo quadro esterno, prima del rientro a casa del protagonista, che precede una serie di giochi di allungamenti di frasi con duplicazioni di parole.

Quando si torna a cantare il canzoniere di De Gregori si interpreta "Vai in Africa Celestino", che si addolcisce a livello d'accompagnamento ma dialoga molto più fortemente con la sua matrice profondamente blues a livello di canto. Anche qui ci sono numerose modifiche al testo, una tra tutte "diossina" sostituita con "eroina". Il sassofono di Lucio Dalla in questo frangente forse convince meno, ci sarebbe voluto uno strumentista con una matrice più blues rispetto al bolognese, che comunque suona più in maniera ricollegabile a certo jazz anni Cinquanta.

E quando si pensa a Dalla, si torna alle cose serie (scusate, il pezzo precedente non lo amo!), difatti si esegue "Piazza grande". Il brano acquista una matrice sudamericana, molto generosa nei confronti della melodicità del brano, dove ancora una volta i due cantanti si rimpallano strofe a "contrapunto". De Gregori dipinge un quadro neorealista, aiutato da Dalla che però non resiste mai alla tentazione di entrare con inutili sporcature jazz, e addirittura con uno "scat" davvero opprimente.

Continuando con il repertorio di Dalla recuperiamo "Com'è profondo il mare", che viene iniziata da De Gregori con dolcezza, mentre Dalla risponde con il suo nuovo canto, che secondo me denota comunque stanchezza (checché ne dica lui!), perché solo molto raramente riesce a dare il peso dovuto alla parola, la sua principale maniera di comunicare. Nonostante ciò devo dire che mi piace questa versione, come quasi tutto questo cd, che consiglio nonostante tutti i nei che gli trovo.

Continuando si ha il piacere di ascoltare "L'anno che verrà", uno dei cavalli di battaglia di Dalla, dove c'è la solita tecnica della divisione per strofe, ognuna affidata ad un interprete diverso. È spassosissimo questo brano, fa meno piacere sentire i due timbri combaciare sulla stessa frase melodica in "E si farà l'amore", perché le due voci non hanno nessuna affinità, quindi l'insieme è abbastanza disarmonico. Comunque è bella, se non fosse per un pezzo troppo blues in corrispondenza della parte dove il ritmo latino si dissipa, comunque sono piccolezze.

Tornando a De Gregori si prende in mano un brano che il cantautore romano a dedicato sentitamente a Pier Paolo Pasolini. La dolcezza nostalgica del brano non è intaccata da nessun elemento, veramente perfetta. Se dovessi fare un paragone degregoriano per descrivere l'insieme di questa antologia citerei i tre live usciti tra il 1990 ed il 1991, da me ritenuti insuperabili come schiettezza interpretativa. Questo brano soprattutto ha quel respiro, davvero magico.

Tornando al repertorio di Lucio Dalla, ci viene offerta "Futura", iniziata da De Gregori in maniera al contempo tenera e giocosa. Ancora una volta va detto che l'abbassamento di tonalità beneficia solo De Gregori, proebendo assolutamente a Dalla di esprimersi al suo massimo (anche se comunque al cantautore il timbro è peggiorato a vista d'occhio in questi ultimi anni!).

Ed eccoci ad una "Rimmel", a cui il pubblico partecipa stupito, anche se poi l'orchestrazione che entra nella seconda strofa impedisce di godere qualche volta del canto gioioso della gente comune. L'arrangiamento è tra il country ed il latino, simile insomma a quello di Gianni Morandi, che come ricorderete si è appropriato del brano nel suo pregevole lavoro "Canzoni da non perdere". Questi momenti dovrebbero far capire a De Gregori che ogni arrangiamento è lecito, nello stesso momento in cui non si impedisca all'ascoltatore di godere liberamente dei brani in sede di concerto, atto bello solo se il pubblico ha la possibilità di parteciparvi attivamente, altrimenti tra gli eventi più sterili che può contare la vita attuale.

In questo gioco di rimandi a "bannaa republic", ovviamente non poteva mancare il richiamo alle atmosfere di "Come fanno i marinai", brano che, seppur non concepito per quell'occasione perché già inciso dai due in un 45 giri, ha ritratto come nessuno quel concerto. Il brano che riecheggia quei suoni è "Gigolo", quello che ci ha presentato questo progetto ancora prima che venisse pubblicato. Ho già avuto occasione di dire che trovo che questa interpretazione non sia degna di essere presentata come anteprima di questo progetto, che dopo ci ha fatto scoprire un gioiello come "Non basta saper cantare". Ciononostante è carina, godibile, è misterioso come il swing si arricchisca di rock e di blues senza perdersi.

Tornando ai brani di repertorio di De Gregori si interpreta quel gioiello pianistico assoluto che è "la donna cannone". Il cantautore romano la interpreta con tenerezza assoluta, si crea un'atmosfera raccolta in qualsiasi posto, una sensazione di viaggio verso sentieri sconosciuti. Era da molto che non ritrovavo un De Gregori così ispirato, divertito e tenero, davvero magica questa ballata tristemente circense. È da notare che difatti la comicità ispira alle anime sensibili grandissima tristezza, basti pensare alla nuova e bellissima canzone di Francesco Guccini dal titolo "Iltestamento del pagliaccio", dalla quale si evince che un pagliaccio è una persona profondamente sensibile, se quest'arte non è applicata fuori contesto. È bello sentire che la gente canta, inclinazione che andrebbe riscoperta, perché il canto apre e rasserena l'anima.

Tornando al canzoniere di Dalla troviamo una canzone indubbiamente bella anche se secondo me molto anzi troppo sopravvalutata. Mi riferisco a "Caruso", che ha talmente influito sull'immaginario collettivo che la si cataloga anche come canzone napoletana, mentre secondo me è solo una canzone ispirata a Napoli e ad un tenore che legò molta sua vicenda alla bella Partenope seppur nemmeno napoletano. L'interpretazione che se ne ascolta è abbastanza buona, anche se si assiste al balletto degli abbassamenti di tono, che sicuramente tolgono espressività ad una melodia concepita come omaggio grato e rispettoso al "bel canto" all'italiana.

Discutibile è anche il riverbero che contraddistingue il ritornello, dandogli un che di misterioso e si direbbe quasi allucinato, che secondo me non gli si confà per niente.

Alcuni musicisti italiani, quando sono un po' stanchi e non hanno idee, si buttano sul blues, per il quale, secondo Paolo Conte, noi non abbiamo cultura (ovviamente io do ragione all'avvocato di Asti!). Siccome Francesco De Gregori si è stancato (lo ha detto svariate volte) di "Buonanotte fiorellino" l'ha portata a blues, che tanto il valzer è il blues degli europei quindi sta bene (sono questi discorsi sconclusionati di chi giustifica gli sperimentatori da quattro soldi che lavorano così!). Come state capendo questa è l'unica nota veramente dolente di questo disco e di questo concerto. Pietoso è il finale dove i due cantanti giocano con le voci per scimmiottare ancora meglio i cantanti americani (per favore trovatemi un cantante americano che canti all'italiana, ve ne prego!).

Nonostante quest'ultima nota fortemente polemica è un bel disco che continua con un brano misterioso, che si scopre essere una bella versione di "Generale". In questo caso il brano si esegue rispettosamente, seppur con il mitico giro strumentale trasformato o rarefatto. Il canto in questo caso è dolce, non si vuole imitare nessuno, ci si vuole presentare per quello che si è, con molta schiettezza (grazie a Dio!).

Buon ascolto che non ve ne pentirete!

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