giovedì 5 agosto 2010

doardo de Angelis: Historias"

Carissimi lettori, ho il piacere e l'onore di recensire il più recente lavoro di uno dei pochi cantautori rimasti in un paese in cui questo nome si dà con troppa facilità a chiunque scriva anche solo una canzoncina.

L'artista di cui ci occupiamo si chiama Edoardo De Angelis, uno dei fondatori di quel gruppo spesso chiamato "Scuola romana". Sono suoi alcuni dei classici della canzone italiana, che ritroveremo in questo bellissimo "Historias", pubblicato nel 2008 per l'etichetta "Il manifesto".

L'album è tutto dedicato all'America, sia del Nord che del Sud, con uno sguardo non rivolto ad un mito, ma ad un territorio pieno di suggestioni antiche e per questo sempre nuove.

La prima traccia è ispirata alla lettura della produzione civile dello scrittore cileno Luis Sepúlveda ed è intitolata "Cinque parole". In questa società in cui l'immagine predomina e schiaccia le parole, riducendole spesso ad un chiacchiericcio virtuale, è meraviglioso ritrovare qualcuno che chieda "una parola che non debba cadere mai", oppure "che non debba tacere mai". La ballata ci fa trovare un cantautore che utilizza in qualche caso le risorse del pop, ma non disdegna, anzi si direbbe preferisce, quelle delle tradizioni proprie o altrui.

La seconda traccia è una rilettura personale da parte di De Angelis di un personaggio biblico come Davide, questo personaggio la cui presenza ha fortemente condizionato la storia degli Ebrei. Il brano è una ballata apertissima, in tonalità minore ma spesso puntellata da accordi maggiori, sui quali il pezzo si ferma e si chiude. La profondità del testo, uno dei tanti ritratti di perdenti che costellano il cd, potrebbe ricordare il grande De Andrè, col quale d'altronde De Angelis ha anche in comune una certa profondità tellurica nella voce, caratteristica che il cantautore romano equilibra con una dolcissima confidenzialità.

Ed eccoci ad una delle canzoni che io amo di più tra quelle presenti in questo cd, uno dei gioielli portati al successo da Lucio Dalla, la bellissima "Sulla rotta di Cristoforo Colombo". Si può forse dire che questa coppia di brani crei un'atmosfera notturna, confermata dalla struttura intima che De Angelis, che si è occupato anche della produzione di questo cd, ha dato al ritornello di questo brano. È sinceramente facile immaginare in questo Colombo un gran bevitore, un po' forse alla Hemingway. Questo brano, come altri momenti del cd, è caratterizzato da una poderosa sezione di fiati che dà veramente l'idea di una poderosa orchestra o "sonora" cubana degli anni Cinquanta. In questa sezione si innesta un breve pezzo in dialetto leccese cantato da Bungaro, che rappresenta una rinnovata sintesi tra il Salento e Cuba, a dimostrare che forse, come diceva Pierangelo Bertoli, "è sempre uguale il Sud".

Ed eccoci ad una storia nord-americana, raccontata con ricostruzione scientifica. Anche qui, solo leggermente oscurati da piccoli accenni di batteria sintetica nella prima parte del brano, si ritrovano i poderosi accordi arpeggiati alla vecchia maniera, come oggi non si sente fare più, perché la musica d'autore, quella poca che c'è, tende a prendere come modello lo swing statunitense e non guarda mai alle ballate né nord-americane né europee. Il brano è il racconto di una rapina, ma nessuno si aspetti la condanna dei banditi e l'assoluzione o la mitizzazione dell'"uomo di legge", che anzi viene descritto come un personaggio che si crede eroe e che da questo piccolo fatto prende troppo alla lettera il suo ruolo come i suoi soldati. Interessantissimo il recitativo di De Angelis, che si sdraia sulle poderose basse della sua voce, a cui si unisce un bellissimo assolo di quena (flauto andino ad una canna sola), che si snoda su scale moderne ma bellissime magicamente soffiate.

Ed eccoci ad "Un'altra medicina", dedicata alla storia di Ernesto "che" Guevara. Fortunatamente non assistiamo alle troppe e troppo comuni mitizzazioni del personaggio, infatti ci troviamo davanti ad un ritratto umano e tenerissimo di un "che" Guevara giovane ma già convinto dei suoi ideali. Il ritmo non guarda all'America Latina, alla quale ci riporta la fisarmonica usata in un registro particolare. Il brano, infatti, è orgogliosamente una ballata basata su un poderoso finger piking della chitarra, da cantautore anni Settanta, intervallato da suggestioni che possono rimandare ad un limbo tra bossanova e ballata raffinata.

Ed eccoci ad un altro brano puntellato da una poderosa sezione di fiati, di quelle che caratterizzano tutta la musica cubana e centroamericana a qualsiasi livello. Il brano, intitolato "Ramírez", potrebbe ricordare "Avventura a Durango" di Dylan o altre produzioni di cantautori di matrice dylaniana. L'anima centroamericana, però, è mitigata da un mantice che ricorda un po' le tecniche del tango, che comunque accompagnano come un respiro silenzioso ma forte quasi tutta questa serie di storie americane. Dopo il canto, veramente superbo e limpido come ormai è raro sentire, si staglia un assolo di trombone, con il quale dialoga il rif di fiati che porta il brano alla sua naturale conclusione.

Ed ecco un altro grande classico della produzione del cantautore romano, una canzone scritta in vernacolo romanesco e lanciata dalla Schola cantorum agli inizi degli anni Settanta. Ci riferiamo, naturalmente, a "Lella", che il cantautore interpreta con l'aiuto nel ritornello della cantante umbra Lucilla Galeazzi. Questa versione, leggermente portata verso l'America Latina anche e soprattutto grazie alle scale pentatoniche di quena dell'introduzione, perde un po' della forza quasi tellurica che porta con sé il dialetto romano, per acquistare una confidenzialità segreta, forse difficile da capire, ma innegabilmente bella. Va anche detto che questa storia, di un uomo che confessa un omicidio probabilmente scaturito da gelosia, oggi acquista tinte di attualità allarmanti, perché in questo paese, che troppo spesso si vanta di essere sviluppato, le donne hanno ancora troppo poca libertà.

La traccia successiva, intitolata "Mamén", è un omaggio alla ritualità, questa particolare vitalità che unisce tutti i paesi del Sud, e di cui ora si stanno riscoprendo alcuni elementi, in maniere non sempre condivisibili. Il brano di De Angelis è un misto tra una chacarera argentina, leggermente personalizzata nellastrofa, ed una normale ma sempre bella ed interessante ballata terzinata anni Sessanta-Settanta. Meraviglioso l'assolo di violino finale, che ha delle venature tra il country americano e la musica del sud dell'Argentina.

Andando avanti si arriva a quello che per me è il momento più commovente di tutto il cd, una bellissima rielaborazione de "La casa di Hilde", tenerissima canzone ispirata ad una storia personale della vita dell'autore, ma portata al successo da Francesco De Gregori (i cui primi due dischi sono stati prodotti da De Angelis). Nell'armonizzazione troviamo una "cadenza evitata", che però non appesantisce affatto l'ascolto, ed un breve passaggio in diminuita che dà al brano un po' di anima brasiliana. Niente tradimenti, nonostante tutto, anche perché la voce di De Angelis è aiutata solo da sonorità semplici e non artefatte.

La successiva traccia è il ritratto di un ragazzo napoletano che "di lavoro fa il tifo al Napoli perché di lavoro non ce ne sta". Anche questo ritratto è tenerissimo, non si ha voglia di fare morale, si ha voglia di gridare l'esistenza di questa gente affinché le sia data una possibilità. Il brano ha una matrice brasiliana indubbia, ma non si ha voglia di scimmiottare una cultura, la si vuole mettere a confronto con la propria affinché le due si possano reciprocamente arricchire.

Ed ecco un'altra rilettura biblica, ma, come già avevamo potuto costatare in "La stella di Davide", il personaggio è talmente umanizzato, che sembra quasi volerci dire che è una metafora di un mondo in piena contraddizione, insomma questa è la religiosità di De Andrè, quella che si confonde con la politica e l'impegno e non conosce la provvidenza. La ballata rappresenta un ritorno alle sonorità latino-americane già meno mediate dall'italianità, che è rappresentata solo dalla grande apertura melodica della voce di De Angelis.

Ed eccoci a "Waterloo", brano dove il personaggio di Napoleone viene ritratto come un perdente, ma sempre con tenerezza, perché la chiave del vero cantautorato è questo sentimento che oggi pare aver perso la cittadinanza.

L'ultima traccia è una reinterpretazione da parte di De Angelis di una ballata cantata da Cesaria Evora, grande cantante capoverdiana lanciata, come molte altre, da una grandiosa carriera francese. Il brano, pur essendo un'evasione apparente dal repertorio del cantautore, finisce per essere un riassunto di tutte le tematiche che si affrontano leggermente ma ineluttabilmente in questo cd.
È un cd che consiglio fortemente a chiunque voglia essere ancora stregato dalla musica, dall'arte vissuta nella sua semplicità e da una delle più belle voci d'Italia.

Buon ascolto!

Edoardo De Angelis: "Historias" (Il manifesto dischi, 2008).

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