sabato 24 luglio 2010

Passione salentina.

Carissimi lettori, oggi ho il piacere di recensire un particolarissimo cd di musica popolare salentina. È una raccolta di classici della musica tradizionale del basso salento, incisa da Valerio Rodelli e Anna Invidia, due dei membri più in vista dei Malicanti, gruppo che da queste parti è di casa.

Il primo brano è "Aremu", canto griko particolarmente amato da coloro che hanno un rapporto intimo con questo repertorio. È eseguito con vera maestria da Anna Invidia, che si fa dei particolarissimi controcanti propiziati dalle sovraincisioni. Sono interessanti le quinte che la voce esegue ad ogni fine di strofa.

La seconda traccia del cd è una versione splendida di "Pizzicarella", che viene qui riportata ad uno stile fortemente influenzato dagli Aramirè, fatto anche provocato dalla tecnica tamburellistica dell'Invidia, collegabile a quella di Luigi Chiriatti, con una certa presenza del battito delle dita in corrispondenza del movimento dei sonagli.

La terza traccia sono degli stornelli al modo degli Ucci, interpretati benissimo dall'Invidia che suona con maestria anche dei cucchiai. Particolare, da parte di Rodelli, l'uso dell'organetto con la terza voce chiusa.

La quarta traccia del disco è "La tabaccara", interpretata in un modo che unisce la festa al raccoglimento che dovrebbe portare con sé ogni singola esecuzione del brano. Non è un disco che si possa usare per fare macello o per sballarsi, è un album che ricorda come la musica salentina sia profondamente malinconica.

COME HO AVUTO OCCASIONE DI DIRE IN RIFERIMENTO AL CONCERTO DEI "malicanti, è interessantissima la "confidenzialità rurale" tipica del canto dell'Invidia. Questa sua particolare caratteristica è assecondata dall'organetto di Rodelli che, anche laddove suona con la terza voce aperta, mantiene un certo colore maluinconico eE raffinato. La particolarità maggiore di questa canzone è il giro in minore che caratterizza il ponte tra strofa e strofa.

Andando avanti troviamo "Fior di tutti i fiori", il cui giro di organetto ricorda "Anima bella" degli Officina Zoè.

La versione del brano è tra le più belle che mi sia stato dato di sentire, stornellata e senza tanti fronzoli nè raffinatezze spesso inutili (vedasi la versione degli stessi Zoè in "Crita"). In questo brano troviamo anche la partecipazione di Valerio Rodelli, che si prodiga in un basso ritmico e perfetto, di quelli tipici degli stornelli, mentre il controcanto alto è sempre affidato alle sovraincisioni della voce dell'Invidia.

Il brano si chiude con uno stornello in lingua italiana (quelli che alla sottoscritta piacciono di meno!), che il duo riprende direttamente dal repertorio di Uccio Aloisi.

Il brano successivo è una pizzica paragonabile a quella che il Canzoniere Grecanico Salentino esegue nel cd "Canti e pizzichi d'amore" col titolo di "Ronda". Qui i due musicisti suonano entrambi le percussioni, la cui secchezza fa partire una pizzica senza pietà.

La cosa più curiosa di questo brano è una traduzione al femminile del noto verso "La fimmena se llarga e l'omu cucchia", che per l'occasione, in conseguenza, diventa: "l'omo se llarga e la donna cucchia". geniale!.

La traccia successiva è uno dei cavalli di battaglia dell'Invidia anche all'interno del concerto dei malicanti, quell'"Aria caddhripulina" che Zimba canta come nessuno. Queste strofe suonano inizialmente forse un po' strane, ma hanno una cantabilità tale che ci si abitua anche a sentirle così confidenziali e dolci. La cosa bella della vocalità della cantante, infatti, è questa convivenza di certi elementi rurali con una nuova, e mai troppo coltivata nel Salento, confidenzialità che permette una maggiore scansione dei testi. Nel ritornello c'è Valerio Rodelli che dimostra la propria bravura come cantante e aiutante in leggeri controcanti.

Ed eccoci all'unico brano un po' deludente del cd, soprattutto per quella che io trovo un'esagerata elaborazione armonica da parte della chitarra acustica che accompagna. Il brano in questione è "Lu rusciu de lu mare", che viene eseguito completamente lento ma non con la dolcezza che permette a questo arrangiamento di dare il meglio di sé. Opprimenti sono anche le modulazioni dei bassi e degli alti della chitarra, che forse portano esageratamente la voce dell'Invidia verso delle modulazioni un po' troppo moderne, che, quantomeno secondo me, non permettono a questo brano di essere cantato con la dolcezza sufficiente. Comunque, evviva la temerarietà, perché sono pochissimi a fare questa versione del brano, preferendo eseguire spesso interpretazioni pretenziose e perché no sguaiate.

Il cd si riprende subito con una strepitosa versione di una delle più belle pizziche che mi sia mai stato dato di sentire in vita mia, la pizzica di Torchiarolo, nella versione raccolta di recente da Enza Pagliara. La formazione ridotta dà al brano una leggerezza divina, la festa che si fa quando lo si sente è davvero tanta!

E dalla raccolta di brizio Montinaro "Musiche e canti popolari del Salento" è direttamente ripresa questa "La fontanella", una beguine meravigliosa, in quel misto di dialetto e italiano che caratterizza una buona parte di certo repertorio degli anni Settanta.

Suona solo strano ascoltare alcune parti dialogate, nell'interpretazione di una sola voce, ma queste sono quisquiglie a cui la tradizione non tiene.

Il percorso continua con una versione lenta di "Ohi rondine", dove le due voci dialogano sostenute dall'organetto. Sinceramente, forse, questo tipo di brani rendono di più o "alla stisa" o accompagnati da strumenti a corda o a plettro. Sinceramente io ho un gusto, forse data la mia ignoranza sugli strumenti a mantice, che mi fa preferire l'organetto in momenti più festosi come valzer, mazurke, quadriglie, tarantelle, pizziche e compagnia.

Queste riserve non tolgono naturalmente la qualità al brano, ed ovviamente non mi inibiscono dal consigliare caldamente l'ascolto di questo cd a chiunque ne sia voglioso ed interessato.

Credo che questo cd, forse come pochi, dimostri come la musica popolare salentina non sia una musica da fare con moltissimi strumenti, anzi più la formazione è ridotta e meglio è.

giovedì 8 luglio 2010

E nà E nà

Ricordo triestino (A Lelio Luttazzi)

Carissimi lettori, avrete notato che ormai questo blog non si aggiorna più settimanalmente. Sappiate che ciò non dipende per niente dalla mia volontà, ma solo dalla carissima "mamma rai", che dimenticandosi dei suoi figli non vedenti ha pensato bene di rendere introvabile il podcasting di "canzonenapoletana@rai.it".
Purtroppo oggi devo scrivere per un motivo doloroso, perché il grande jazzista, pianista, presentatore televisivo, cantante e compositore Lelio Luttazzi ci ha lasciati questa notte.
Questo articolo non sarà una sua biografia, cosa che d'altronde non faccio mai, ma solo un excursus tra le canzoni sue da me più amate, o anche tra quelle che non sapevo fossero sue ma io altrettanto amo, vedremo!
Il percorso comincia con "Vecchia America", brano scritto dal musicista triestino nel 1951, reso celebre da quello che per me è il più grande gruppo vocale che l'Italia possa vantare, il Quartetto Cetra. Il brano permette veramente al gruppo di dare il massimo per quanto riguarda gli impasti vocali, in quanto possiede una melodia aperta e ricca. È un omaggio ad una terra che si ama, da parte di una generazione che non ne è schiava (come spesso siamo oggi), ma ha appreso un'altra cultura come forma di arricchire la propria. Questo atteggiamento si riscontra nell'insieme di elementi italiani ed americani che costellano il brano, che non diventa mai una scimmiottatura gratuita di modelli, ma si dimostra piuttosto una loro reinterpretazione fortemente personale. La si può trovare, in versione rigorosamente originale ma ben restaurata, nel quarto numero della collana sulla musica anni Cinquanta uscita in edicola qualche tempo fa.
Subito dopo si arriva ad una geniale interpretazione di Mina intitolata "Una zebra a pois", che gioca con ironia forte ma rispettosa su questo bellissimo ed ora bisfrattato mito della serenata, rivolgendo le parole d'amore non ad una donna ma ad una zebra. Musicalmente il brano è a dir poco ricco, cosa che ha fatto dimenticare il suo massiccio sfruttamento. l'inizio è quasi classico e porta con sé una melodia mista di rimandi blues e italiani, mentre il ritornello arriva ad uno sfrenatissimo twist giocato su un giro di blues convenzionale, seguito da dei vocalizzi sulla parola "pois", basati sulla ripetizione di due note su uno sfondo di un accordo solo. Veramente geniale, anche perché citare Dante per una canzone su una zebra non mi pare esattamente da tutti!
Troviamo poi la canzone che mi ha fatto accorgere dell'esistenza di questo artista dalla fantasia sfrenata, la geniale "Legata ad uno scoglio". Forse è un po' esagerato fare discorsi come. "Forse sarà un po' scomodo, ma l'amore è anche sacrificio (o sacrifizio!). non ti ho portata al mare per farti sbaciucchiare dal giovane leone Bevilacqua Vinicio (o Vinizio!), ma meglio che ammazzare una donna per gelosia come sento dire da troppe parti, questo è sicuro. Anche questa è una canzone dall'andamento spudoratamente swing, dall'armonia ricchissima, che Luttazzi interpreta con una verve totale, sentitevela se non ve la ricordate e ridete a crepapelle (io lo faccio tutte le santissime volte che la sento!).
So di non aver dato un buon ritratto di Luttazzi, ma voi sapete che io scrivo per attizzare la vostra curiosità, non per sservirvi tutto su un piatto d'argento (non c'è polemica!).
Ai jazzisti moderni mi sento di dire che, forse, se riscoprissero questo grande del pianismo jazz dal tocco impetuoso e battente, sarebbero meno sofisticati ma più profondamente legati ad una tradizione di jazz che, nonostante i grandi successi che miete, ha perso la sua più profonda identità perché scimmiotta ciò che avviene in America (tranne qualche salutarissima eccezione!).

giovedì 1 luglio 2010

Attenzione! Attenzione!

Carissimi lettori, ho evitato fino all'ultimo di scrivere, anche perché purtroppo tendo ad avere il grossissimo difetto di tenermi spesso e volentieri ciò che mi rende più felice solo per me.
Ieri sera mi sono avventurata nel web alla ricerca di qualche intervista agli Officina Zoè. Vi giuro che trovare loro esternazioni è come cercare un ago in un pagliaio, insomma quasi impossibile.
Quale è stato il mio stupore quando ne ho trovata una che, oltretutto, era pure recente!
Per chi si volesse lasciar incuriosire da questo segnale che vi lascio, potrebbe andare su www.overgrow-italy.nl/?p=507.
È un'intervista a cinque componenti dell'"Officina" (Lamberto Probo, Cinzia Marzo, Donatello Pisanello e Danilo e Rachele Andrioli), i tre fondatori e i due elementi entrati nel gruppo tra il 2004 ed il 2005 (rimangono fuori i nuovi arrivi Luigi Panico e Giorgio Doveri, ingiustizia!).
Si parla della nascita dell'"Officina", della nascita di "Sangue vivo" e nel suo brano trainante "Don pizzica", è davvero curiosa.
Io ve l'ho segnalato, poi voi fate quello che volete!

Attenzione! Attenzione!