sabato 13 febbraio 2010

Al "re della terzina"

Carissimi lettori, torno ad aggiornare il mio diario sulla musica per ricordare il grande Pino Zimba, che due anni fa in un giorno come questo ci lasciava.
Io non posso dire di aver scoperto la pizzica con gli Officina Zoè, anche se poi come sapete sono diventati il mio gruppo preferito, ma "Terra" è stato comunque il secondo disco di musica popolare salentina da me avuto.
Il ricordo più forte di Pino Zimba, però, si lega ad una serata che ebbe luogo in un locale di Perugia dove suonammo insieme. Mi ricordo benissimo il piacere che lui provava nel sentire le mie evoluzioni pianistiche, all'epoca tra l'altro scarne ed incerte, era infatti solo qualche settimana che conoscevo questo genere di musica.
Il mio ricordo di Zimba, insomma, è più basato sull'uomo che sul musicista, che io stimo molto di più con gli Zimbaria piuttosto che con gli Zoè.
La voce di Zimba mi penetra profondamente nell'anima quando sento le sue parti nei film di Winspeare, sul finale di "Sangue vivo" mi commuove sempre. Amo molto quella gravità segreta che si scopre se lo si sente parlare.
Parlando propriamente della sua tecnica tamburellistica, da sempre mi è sembrata un po' esagerata, quel tamburello tirannico, forte, tellurico forse non lo riesco a capire (mea culpa!).
Comunque, tra lui e quelli che lo criticano ma non sanno fare un centesimo di ciò che faceva, è ovvio che preferisco la sua autenticità dirompente.
Il suo Salento è quello delle pizziche ataviche, quello dei ritmi forti e dei giri tradizionali e corposi, cosa che forse l'"Officina" non aveva capito. Trovo sbagliato, infatti, il fatto che sia stato affidato a lui l'inizio di "Sale", brano dalla struttura moderna dove la voce di Cinzia può brillare ma quella dell'aradeino no.
Il cd degli Zimbaria che io amo di più, il primo, quello dove il nostro conta davvero e non è solo un tamburellista, risale al 2004. Ascoltandolo, credo si noti subito l'alleggerimento rispetto alla "grande zavorra" di "Sangue vivo". Ancora il gruppo non si era fatto prendere dalla mania di innovare copiando tutto dagli Zoè dei tempi del suo fondatore, faceva solo musica popolare salentina, non "paranoico-salentina".
L'album, intitolato "Live", mi fece tantissima compagnia in un periodo molto specifico, ma ancora ho piacere di ascoltare alcune sue tracce. Bellissima, nonostante io sia sempre scettica sull'introduzione del tres cubano nella musica popolare salentina, la pizzica in minore "Smarrimento", caratterizzata dall'immancabile crescendo "officiniano-zimbariano".
La voce del nostro si inizia a sentire durante degli stornelli, cantati con strofe che egli stesso ha imparato nella sua militanza negli Ucci, gruppo fondamentale se si vuole capire la mediazione possibile tra tradizione e "riproposta". La voce di Zimba, come sempre, canta su tonalità alte, con il brio che solo i veri cantori tradizionali sanno imprimere alla propria arte.
Il brano più rappresentativo della personalità di Zimba è, secondo me, l'"Aria caddrhipulina", collage di strofe popolari di tematica varia, di una goliardia insostituibile. L'altro brano dove Zimba canta è "Sale", ma preferisco non parlarne.
Spero che chi leggerà questo articolo non pretenda di trovarvi un ritratto di Zimba, questa è solo una parte del "mio" Zimba.

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