lunedì 11 gennaio 2010

Pillole deandreiane.

Carissimi lettori, anche oggi torno da voi, perché in un giorno come questo, undici anni fa, ci lasciava uno dei miei cantautori preferiti, il chitarrista, poeta, cantante e ricercatore di sonorità Fabrizio de Andrè.
Non voglio parlarvi della sua biografia, perché su questo c'è gente molto più competente di me. Mi limiterò, per quanto me lo lascerà fare la grande tristezza che mi avvolge dolcemente e tirannicamente in questa data, a raccontarvi un po' il mio de Andrè, le storie personali e quelle delle persone che hanno condiviso con me questa passione.
Fabrizio de Andrè, sin dalla fine degli anni '60, è colonna sonora della vita della nostra casa. Da allora tutti noi lo ascoltiamo e lo sentiamo come nostro.
Il primo album che io mi ricordo di aver comprato, già in formato cd, è stato "Le nuvole", che mi fece innamorare specialmente di quella sensibilità per il rinnovamento delle cose antiche, che tutt'ora ritengo la più grande virtù di De Andrè. Le mie preferite, per quello che mi ricordo, sono sempre state "Don Raffaè", che accompagnò la mia scoperta della canzone napoletana, e "A çimma", ballata romantica, enigmatica e sorniona in un fantastico dialetto genovese. Della prima, anche senza averne coscienza, ho sempre amato l'umiltà con cui gli strumenti moderni, specialmente la batteria, affrontano il ritmo, antico e difficile da rielaborare, della colta e raffinata tarantella napoletana. La voce di De Andrè, calda e profonda, riesce a dare al brano un colore esotico, una personalità del tutto propria, pur facendocelo sembrare un qualcosa di familiare. Adesso, dopo il mio lavoro di documentazione sul canto politico italiano, apprezzo ancora di più la non violenza con cui il cantautore denuncia uno dei più grandi problemi del nostro paese, la connivenza tra mafia e Stato.
Della seconda, di cui non ho mai capito completamente il testo, anche per mia personale volontà, ho sempre amato questo mistero in cui la avvolgono le caldissime note della fisarmonica.
Sei anni dopo, quando io già conoscevo quasi perfettamente la discografia deandreiana, è uscito "Anime salve", dove il cantautore, con il rispetto e la raffinatezza che lo contraddistinguevano, si era tuffato in alcuni ritmi sudamericani, che anche per lui erano stati fondamentali nel suo apprendimento musicale. Ho sempre amato, in questo cd, l'amore, che definirei segretamente passionale, con cui si parla degli esclusi. E' vero che mi si potrebbe ribattere che tutta la discografia del cantautore è impregnata di questo sentimento, ma credo che questo album sia il più completo, concreto ed accorato, anche grazie ai ritmi usati, ad esempio il tango in "Princesa". Fu lì che, tra le altre cose, io ebbi i miei primi contatti con una lingua che adesso fa parte tirannicamente della mia vita: il portoghese.
Tra gli album di De Andrè, l'unico a cui non sono molto legata, anzi direi che mi è quasi completamente estraneo, è "Creuza de mà". Non so spiegarmi il motivo di tale opinione, ma credo di poter dire senza sbagliarmi che viene dal fatto che mi è difficile digerire quasi tutte le forme della cosiddetta "World music".
Per quanto riguarda il mio rapporto personale con De Andrè, lo definirei timore reverenziale. De Andrè è il cantautore che canto con più difficoltà, forse perché ritengo inarrivabili le sue interpretazioni, oltre a trovare che cantate da donne le sue canzoni perdano.
Nonostante ciò, qualche volta ho superato il tabù, ed ho vissuto grandissime emozioni cantando brani come "Le passanti", uno dei suoi grandi omaggi allo chansonnier francese Brassens, o "Tre madri", canzone che io ritengo la più tenera e struggente di tutta la "Buona novella".
Spero di avervi fatto venire un po' di voglia di ascoltare il grande genovese, arrivederci a presto.

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