domenica 4 ottobre 2009

Commento alla puntata del 4 ottobre di "Canzonenapoletana@rai.it".

Carissimi lettori, le promesse sono promesse, quindi ecco il commento alla seconda puntata del ciclo su Armando Gill della trasmissione "Canzonenapoletana@rai.it".
Si inizia con un brano del 1918, intitolato "'O zampugnaro 'nnammurato", che, in 78 giri, per la sua durata di cinque minuti, era inciso su entrambe le facciate del disco, insomma diviso in due parti, come le ballate di alcuni cantastorie, si pensi alla sfiziosa "La signurina curridura" del siciliano Orazio strano, che scrisse ballate durante molto tempo.
La versione di Armando Gill di questa suacanzone è molto tragica, d'altronde è la storia di uno zampognaro che, andando a Napoli e innamorandosi di una ricca signora, si scorda della sua innamorata lasciata ad Avellino, la quale, pensando che lui ormai l'abbia tradita, si dispera perché non può sposarsi. Qui Gill, con il suo già descritto stile tragico, rende benissimo il contenuto del testo, anzi, forse questa è la versione migliore da sentire per capirne lo spirito.
Subito dopo si ascolta una delle mie canzoni napoletane preferite, il brano, scritto nel 1919 "Bella ca bella sì".
La versione di Gill, con i suoi alternati recitativi e cantati, non mi convince più di tanto, in quanto, essendo una serenata, mi pare che questa struttura di canto dà al brano un'esagerata teatralità che non gli è propria.
Insuperabile, tra le interpretazioni recenti, forse non troppo, è quella di Giulietta Sacco.
Ecco una delle canzoni forse meno conosciute di Armando Gill, "Varca d'ammore". Uno dei pochi che l'ha interpretata, che io sappia, è stato Giuseppe Di Stefano. L'interpretazione di Gill, questa volta, è perfetta, veramente si riesce a vedere questa barca che, come spesso accade nella canzone classica napoletana, è considerata il miglior rifugio per il casto amore di cui si parla. L'amore nella canzone napoletana, infatti, è quasi nascosto, anche quando è protagonista delle canzoni, perché chi poi finisce per avere il ruolo principale è la musica insieme al mare e la psicologia dell'innamorato.
Del 1920 è "Piererotta", ritratto bozzettistico di questa festa laico-religiosa che è stata così importante per il passato della canzone napoletana, che forse sarà importante anche per il suo futuro. La versione che stiamo ascoltando di questa canzone è affidata al grandissimo Nino Taranto, ed è una incisione, ridotta piuttosto male in verità, risalente agli anni sessanta. Esiste anche un'interpretazione di Massimo Ranieri, ma è troppo teatrale.
Ed eccoci ad una spassosissima tarantella, in verità prende questo ritmo solo nella seconda parte delle strofe, intitolata "Detti napoletani". E' una serie di proverbi o di modi di dire che andavano di moda nella Napoli innocente e pittoresca tanto amata da Murolo o Di Giacomo. L'interprete del brano è stata Mirna Doris.
Adesso stiamo avendo un piacevolissimo intermezzo, che Paquito del Bosco ha paragonato alla "Rumba degli scugnizzi" di Raffaele Viviani, intitolato "A messa". Se il brano di Viviani comunque finisce per avere un ritmo ed un'armonia musicale, per lo meno nelle versioni eseguite in questi ultimi quarant'anni, insuperabile è quella di Sergio bruni, questo brano è puro teatro, nel senso che Gill sta imitando, con quell'innocenza tipica di quegli anni, le beghine che, con il pretesto di assolvere i loro doveri religiosi, vanno a sparlare del paese e dei loro vicini di casa in chiesa.
Se proprio devo cercare un paragone per farvi capire l'atmosfera del brano, penserei ad Ettore Petrolini, a quello di Fortunello.
Siamo arrivati alla fine, e ci arriviamo con un collage sulle caratteristiche dominanti delle donne nelle varie regioni. Potrei paragonarla, senza l'impietosità, a "Si presenta" tarantella del grande Domenico Modugno. Il brindisino, forse, ha approfittato un po' troppo di desueti luoghi comuni, mentre Gill utilizza una maggiore innocenza, una maggiore dolcezza.
Spero che vi sia piaciuto questo commento e, signori, sempre viva Napoli!

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