venerdì 11 settembre 2009

La "codina" di "Ecchite maje"

Carissimi lettori, questa sera mi va di riflettere, ci ho pensato un po' tardi, più approfonditamente sul rapporto che si deve avere con le "fonti", nel momento in cui si decide di fare musica popolare.
Partirò dalla "codina" della "Pastorale per Gaspare e Rodolfo", brano che chiude l'appena recensito "Ecchite maje" dei "Musicanti del piccolo borgo".
Il cd, che come ho detto è un lavoro estremamente onesto, per confermare questa sua vocazione, si chiude con dei frammenti dei brani tradizionali che il gruppo ha rielaborato per questa occasione. Così si fa!
E' ovvio, naturalmente, che questo non basta per farmi definire un disco "onesto", e forse non è neanche un criterio basilare, ma voglio ritenerlo importante e voglio comunque portare questa "traccia nascosta" come esempio di un buon lavoro.
Una cosa simile era avvenuta nel cd del progetto "Ausuléa", dedicato ai canti erotici della provincia beneventana, che si apriva e si chiudeva con due estratti dei brani di apertura e chiusura cantati dagli informatori che li hanno dati ai ricercatori che poi li hanno rielaborati. Lì, però, dopo aver ringraziato tutti i cantori tradizionali per il loro aiuto, questo patrimonio viene troppo rielaborato: non tanto dal punto di vista armonico, cosa che magari sarebbe interessante, vedasi i "Musicanti del piccolo borgo", ma dal punto di vista strumentale, o meglio della maniera in cui gli strumenti vengono suonati. Si ha quasi paura, in quasi tutti i brani del cd in questione, di far suonare i tamburi in maniere che io, profana per quanto riguarda il folk campano, possa ricondurre alla tradizione.
Sinceramente, e scrive una pianista che quindi come tale non è contraria alle contaminazioni, mi pare che si usi la gratitudine agli anziani e alle "fonti" solo per pulirsi la coscienza.
Il "ripropositore", invece, se fa repertorio tradizionale, sarebbe tendenzialmente portato ad un effettivo rispetto, se non dei canoni stilistici in questione, quanto meno di una certa maniera di toccare gli strumenti. E' vero che i contadini di solito non li usavano, ma noi non siamo nessuno: loro la loro musica se l'erano inventata, noi, invece di crearcene una nostra, scimmiottiamo quella di un paese più forte di noi (gli Stati Uniti ovviamente!).
Quindi, questa considerazione ci dovrebbe far perdere un po' di tracotanza, facendoci invece scoprire il gusto di una semplicità spessissimo snobbata.
Oltretutto, e vi faccio un esempio "officiniano", si può reinventare completamente un brano tradizionale, mantenendo fedelmente la melodia, anche solo facendo venire a contatto questa struttura melodica "di base" con altre tradizioni, come gli Zoè hanno magistralmente fatto in "Ferma ferma" ("Crita", 2004).
Il bello della musica di tradizione, che io chiamo popolare perché il pop lo chiamo "musica leggera" (e non c'è alcun disprezzo anche se non lo amo), è proprio la sua diversità, questa voglia di cambiare, questa possibilità improvvisativa, che la musica leggera, magari più complicata, ha tolto al musicista. Questa diversità di caratteristiche, oltre al fatto che in fondo la musica "commerciale" nasca a tavolino con intenti di "rottura" col passato, rende incompatibili i due mondi da tutti i punti di vista.
Quello che voglio dirvi, ed ecco che alla fine si torna ad "Ecchite maje", è: invece di intessere lodi ad anziani il cui patrimonio derubate per renderlo più fruibile a persone che vi ascoltano solo per inerzia, rispettate davvero il passato rimanendovi fedeli, soprattutto armonicamente, magari citando, come i "Musicanti" fanno per ogni brano, la fonte discografica o di raccolta privata. Meno chiacchiere e più coscienza!

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