venerdì 25 settembre 2009

Commento alla puntata del 12 settembre di canzonenapoletana@rai.it

Carissimi lettori, continuiamo, andando indietro in verità, il percorso nelle poesie di Beniamino Canetti.
Siamo, credo, negli anni '40.
Si inizia con una bellissima canzone, interpretata dal grandissimo tenore e interprete di giacca e sceneggiata Enzo Romagnoli, che si può scoprire tramite il cd della Phonotype records "Canzona 'mbriaca". Il brano che sentiamo si intitola "Peccato", e ricorda un altro brano, scritto da Francesco Fiore ed Evemero Nardella, intitolato "Scummunicato".
Il brano, purtroppo inficiato da un traballamento di tonalità, che lo fa salire e scendere di mezzo tono in continuazione, è a tempo di habanera, ed è cantato da Romagnoli con una bellissima confidenzialità, che però, ovviamente, come è giusto che sia, non fa scordare l'impostazione di sceneggiata.
Stiamo ora sentendo una bellissima canzone interpretata da Alberto Amato, stupenda voce da riscoprire come Romagnoli. Il brano si dovrebbe intitolare "E dimme" e, come nella precedente canzone, si parla della malvagità della donna. Se ne parla, però, con una tale poeticità e con un rispetto nascosto e magico, che anche questo tema, altrimenti ingiurioso, diventa sopportabile e dolce.
La voce di Alberto Amato, come sempre, è potente, ma la potenza non è tiranna, anzi il colore dominante del timbro è una dolcezza quasi assoluta.
Ed ecco che, dopo due melodie di impronta più o meno riconducibile a Gaetano Lama e ai compagni di Libero Bovio, abbiamo il piacere di ritrovare i giri freschi, etnici e arabi di Gino Campese. Il brano è "In campagna è n'ata cosa", scritta nel 1948 e cantata da Claudio Villa, un "reuccio" giovane e confidenziale, insomma quello che piace a me.
Se io sono un'ammiratrice del "reuccio", lo devo alle mie nonne, che mi ci hanno allevato, e alla perfezione della sua voce, che mi ha soggiogato.
Ed ecco uno dei miei cantanti napoletani preferiti, il tenore Salvatore Sebastiano, in arte Franco Ricci, che ci canta una canzone su un emigrante che, tornato in attesa di ritrovare il suo vecchio amore, si scopre tradito e si lamenta con l'espressione "Che sso' turnato a ffà".
L'emigrante, ovviamente, torna dalla madre, ma il rancore per la donna traditrice è accentuato dal fatto che il protagonista è tornato apposta per sposarsi, mentre non può farlo.
Musicalmente è molto triste, ma ci sono sempre questi giri arabi, così caratteristici di Campese.
Ed ecco il giovane Sergio Bruni, con una di queste melodie, probabilmente sempre di Campese, in tonalità minore per la strofa, con il ritornello in maggiore leggermente swingato, o comunque binario ma lento.
Ma non pensate a quei brani leggeri, dovete stare attenti alle evoluzioni musicali, che richiedono ascolto profondo, profonda comprensione per essere apprezzate.
Il testo è uno dei tanti di Canetti dedicati alle rose, e si intitola "Geluso d'e rrose". E' un po' come "'E rrose parlano" di Gigi Pisano e Giuseppe Cioffi, dove le rose dànno agli innamorati alcune indicazioni su come si debbano amare.
Ed eccoci già alla fine di questo viaggio, che si conclude con "'E rrose vonno ammore", scritta nel 1950 ed interpretata da Franco Ricci. Anche questa canzone può essere paragonata a "'E rrose parlano", ma, forse, musicalmente parlando, all'interno del repertorio dell'autore, può confrontarsi con "Purtatele sti rrose".
Anche qui troviamo questi ritmi liberi, un po' "habanerados", che richiedono grande bravura interpretativa, che d'altronde non mancava a Franco Ricci.
L'altro commento, purtroppo, non si concludeva con il link al sito dell'Archivio Sonoro della Canzone napoletana, ma ve lo do subito: http://www.canzonenapoletana.rai.it/.Lì, dopo aver scaricato realplayer, potrete immergervi in queste bellissime e rarissime canzoni da riscoprire assolutamente.

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