giovedì 9 luglio 2009

Il ritorno della taranta

Carissimi lettori, è con grandissimo piacere che riesco, finalmente, a recensire il cd allegato al libro "Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina", scritto da Vincenzo Santoro e pubblicato dalla "Squilibri" di Roma.
Il cd contiene una ventina di brani, che fanno capire la complessità e la varietà delle rielaborazioni possibili di un canto popolare. Va detto che, e conoscendo l'autore era abbastanza ovvio, si privilegia solo quel repertorio che viene eseguito con strumenti appartenenti alla tradizione o alle testimonianze che di essa abbiamo.
Per trovare un primo tentativo di "riproposta" della musica salentina, bisogna risalire al 1962, quando nasce il "Nuovo Canzoniere del Salento". In questo cd di quell'epoca ci sono due esempi, una rielaborazione di "Moretto", uno dei canti meno eseguiti della tradizione, e "'Ntunuccio", che invece, poi, diventerà uno dei classici di questo stesso repertorio. Lo stile, d'altronde lo resterà fino all'apparizione degli Officina Zoè, era molto basato sull'imitazione pedissequa dei cantori tradizionali.
Subito dopo arrivano due brani, anche qui un classico ed uno quasi sconosciuto, interpretati da Giovanna Marini, a cui, comunque, va il merito di aver aiutato questi giovani ragazzi salentini, mettendoli in contatto con la già viva realtà del "Nuovo canzoniere italiano". I brani che vengono presentati sono "Fimmene fimmene", con una velocizzazione eccessiva dei finali di strofa, e "Giulia di Fornovo", che non è altro che una rielaborazione della melodia con cui attualmente Giovanni Avantaggiato, cantore di Corigliano d'Otranto, esegue "La cerva".
Dalle ceneri del "Nuovo Canzoniere del Salento", nel 1975, sempre sotto la fondamentale influenza di Rina Durante, una delle prime ricercatrici salentine, nacque il "Canzoniere Grecanico salentino". Gli strumenti usati qui sono quelli tradizionali, ed il tamburello ancora era lontano dal terzinare in questa maniera ossessiva che oggi è il pane quotidiano di chi ascolta la pizzica. Credo anche che si fosse lontani da questa tendenza, che forse oggi sta anche regredendo per fortuna, a fare solo pizziche.
Il "Canzoniere grecanico salentino", direttamente dal suo primo lp "Canti della Grecìa salentina e di Terra d'Otranto", interpreta uno dei brani più conosciuti della tradizione leccese "Te sira", unica pizzica presente nel vinile.
Molto vicini al "Canzoniere Grecanico salentino", sono i "Radici", progetto di cui fecero parte due grandi musicisti: Donatello Pisanello, che qui suona chitarra, armonica e mandolino, e Claudio Miggiano, da non confondere con il suonatore di Tres nel cd "Sangue vivo" degli Officina Zoè, dotato di una delle voci più potenti e penetranti che conosco. Del gruppo in questione vi sono due brani. Il primo è un canto di lavoro, con una melodia che molto difficilmente riterrei veramente tradizionale, mi pare piuttosto una di quelle rielaborazioni un po' pretenziose così tipiche di certo stile Zoè prima maniera. Il brano infatti ha un ritmo pseudomediterraneo, suonato, credo, con una tammorra muta, quantomeno non riesco a sentire i cimbali al tamburello. Bisogna dire che questo materiale, essendo storico, ha una qualità di audio un po' discutibile, ma è una testimonianza di qualcosa che non c'è più.
Subito dopo, sempre nella versione dei "Radici" c'è "Santu Paulu", che oggi è uno dei brani immancabili quando si parla di pizzica. Credo che sia una pizzica di Ugento, con alcune strofe che oggi, molto raramente si metterebbero in questo tipo di repertorio. Infatti, ancora, per fortuna, non si aveva tutta questa standardizzazione dei repertori e delle varianti, si era d'altronde ancora molto vicini alla tradizione viva.
Parlare dello stile del gruppo porterebbe a dire che ricorda, molto superficialmente ma inevitabilmente, lo stile dei primi Zoè nonché certe cose degli Alla Bua.
Nel 1989 uno dei più grandi studiosi di musica popolare salentina, il cantante e polistrumentista Roberto Raheli, dà vita al "Canzoniere di terra d'Otranto", richiamando, tra l'altro, a sé musicisti che erano stati coinvolti nel "Canzoniere Grecanico salentino", che, nel frattempo aveva molto diradato la propria attività.
In questa raccolta ci sono due esempi dello stile del gruppo. Il primo è tratto dal loro unico disco, il pregevole "Bassa musica", autoprodotto nel 1994, primo cd mai inciso di questa musica. Il brano è un valzerino con cui si porta una serenata. Sinceramente, e non sarà l'unica volta, io avrei messo altre cose da questo disco, ad esempio la bellissima "Sutt'acqua e sutta jentu", intitolata "Mamma la rondinella".
La raccolta della "Squilibri", sarà il caso di dirlo, è piena di inediti. Uno di questi è una splendida versione a cappella de "La turtura", uno dei canti salentini con cui la donna chiede libertà. E' fatta in concerto e la bellissima voce di Franco Teodoro Tommasi è assolutamente in vista, con i suoi caratteristici accenti su quasi ogni nota.
Con il nuovo millennio, arriva la rivoluzione, la musica salentina oltre che riprendere i brani antichi inizia anche a comporne di nuovi o a dare nuove musiche a collage di strofe tradizionali. Non è che negli anni '70 non si fosse composto repertorio ma era stato molto poco cantato, anzi oggi sta avendo un'ulteriore rivalutazione, ma ci sarà tempo di parlarne.
La musica salentina, con il nuovo millennio, viene sfidata ad essere oggetto e protagonista di due film tra i più importanti almeno all'interno del cinema indipendente: "Pizzicata" e "Sangue vivo" di Edoardo Winspeare. Dalla colonna sonora di quest'ultimo è tratta "Sale", che è proprio un esempio di strofe tradizionali musicate in maniera moderna dagli Officina Zoè. Negli articoli sulle opere più recenti dell'Officina, ho spesso lodato questa convivenza fra modernità e tradizione. Qui, almeno secondo me, la modernità, volendo prendere delle caratteristiche della tradizione che non potrebbe naturalmente accettare, finisce per sopraffare il passato. Il brano è basato su un unico accordo che viene ripetuto fino allo sfinimento, esasperando il già di per sé ossessivo ritmo del tamburello di Zimba, che è la voce che, più di tutte, ricorda la tradizione, anche le caratteristiche che un orecchio moderno non accetta, ossia, ad esempio, le note non perfettamente "quadrate". Io stessa, e sono sincera, non riesco a concepire che si possa cantare così in un contesto di riproposta.
Non ritengo importante, poi, l'uso del tres cubano, ho già spiegato ampiamente le mie ragioni, e credo che questo uso che se ne fa nel Salento, sia solo frutto della voglia, tipicamente salentina, di rompere. Infatti, va detto, c'è stata una generazione, subito dopo la guerra, che ha rinnegato le proprie radici contadine, quindi anche la pizzica e tutto ciò che le girava intorno. Chi ha riscoperto le tradizioni, purtroppo, lo ha fatto solo per ragioni magari politico-ideologiche, perché queste rappresentavano una forma di ribellione ad un "sistema" di cui non si condividevano i caratteri fondanti. Questo, purtroppo, porta con sé una voglia, spesso insensata, di reinventare ciò che ha solo bisogno di essere leggermente depurato di alcune peculiarità.
Questo concetto, secondo me, Zoè lo ha ampiamente capito, e nel cd "Crita", di cui si è ampiamente parlato in questo blog, ha già lavorato con questa serenità su una tradizione con cui aveva fatto molto di più i conti.
Una delle istituzioni che storicamente ha di più contribuito al rilancio del folk revival a livello nazionale è stato il "Circolo Gianni Bosio" di Roma. Nel 2002 questa istituzione pubblicò un cd di musica popolare e di protesta intitolato "Vent'anni e più di...". Da questo album Vincenzo Santoro ci propone la partecipazione degli Aramirè, una preziosissima versione di "O pillo pillo pì" interpretata con Anna Cinzia Villani. In questo brano viene ampiamente dimostrato come i problemi storici, pur se investono ciclicamente zone diverse del mondo, restino insolubili.
In ossequio ad una pratica molto comune nella musica di "tradizione", il brano è una serie di strofe politiche in dialetto scritte da diversi autori su una melodia cantata da Luigi Stifani, noto violinista immortalato da Ernesto de Martino nel suo "La terra del rimorso".
Non ritengo questo brano uno dei migliori degli Aramirè, ma ci sono legata perché è stato il primo brano salentino a colpirmi in maniera efficace, anche se non so spiegarmene il motivo.
Subito dopo arriva "Jomoso", brano in lingua grika con testo di Cesare De Sanctis, musicato dagli Aramirè. E' uno dei tanti inediti che impreziosiscono la raccolta, che è forse il ritratto più completo mai fatto alla musica di "riproposta" salentina.
Il brano è un valzer basato sulla ripetizione di un semplice giro di due accordi e sull'alternanza di strofa e ritornello. E' veramente da sentire.
Una caratteristica degli ultimi Aramirè, quella che li ha fatti scoppiare e sciogliersi, è il premere molto, forse troppo, sui problemi del Salento e della nazione italiana, ma non con arte, bensì come farebbero politici in cerca di voti.
Ecco uno degli esempi di questo repertorio, la tarantella "Mazzate pesanti", tratta dall'ultimo cd del gruppo, intitolato come questo brano. La cosa che mi fa più arrabbiare è che, quando si hanno queste prospettive, si dovrebbe, come gruppo, essere un pochino coerenti, mentre non tutti quelli che hanno gridato questi testi da palchi sotto cui c'era gente che si voleva solo divertire, poi ci hanno ripensato.
Ecco un altro esempio di canto griko, suonato abbastanza bene, se non fosse che trovo un po' eccessive le parti di fisarmonica. E' la versione di "Andramupai", brano bandiera di coloro che dicono che, per essere alternativi, basta fare repertorio alternativo.
Quello che si nota a livello tecnico, ascoltando questo disco, è che, in generale, si è avuta la tendenza all'abbandono di stilemi tradizionali, in favore di una voglia, altrettanto stupida quanto quella di imitare gli anziani, di far diventare la musica salentina "altro" da sé. Comunque, siccome Vincenzo Santoro è un amante della tradizione, qui non si trovano esempi estremi, e la "riproposta" oggi è estremamente variegata.
Subito dopo c'è una tarantella del XVII secolo interpretata nello spettacolo "Danzare col ragno" dall'"Ensemble Terra d'Otranto". E' una tarantella in tono minore, caratterizzata dal giro che è più tipico della zona del brindisino, la tonica, la quarta e la dominante. E' molto bella, ma devo dire che di buone versioni di questo brano ve ne sono anche altre, quantomeno quella del "Canzoniere Grecanico Salentino" nel cd "Canti e pizzichi d'amore".
Subito dopo arriva la "Pizzica di Ostuni" tratta da "Sende na rionette sunà", album che l'organettista brindisino Massimiliano Morabito ha pubblicato per la stessa casa editrice di questa raccolta. E' una versione molto bella, anche se mi risulta pesante quando va in tono minore, per quanto so che questa sia una caratteristica tipica delle pizziche di quelle zone. Devo dire, andando un po' fuori tema, che l'album da cui è tratta è un disco che, per quanto ben fatto, non mi fa impazzire, come tutti quelli che siano monotematici su qualcosa, laddove la tradizione a cui ci si riferisca sia più varia.
Subito dopo, sempre in tema con pizziche dove l'organetto sia il più importante accompagnatore, arriva la "Pizzica pizzica di Nardò" interpretata da Anna Cinzia Villani, tratta dal suo disco d'esordio solista "Ninnamorella". Non è un album che mi convinca, perché mi suona brutto tutto ciò che modernizzi esageratamente i brani tradizionali. Infatti, e scusate la sincerità, amo solo le pizziche ed i brani suonati e cantati in maniera tradizionale, anche perché l'interprete ha queste caratteristiche molto forti, e non è che gli arrangiamenti moderni sono equilibrati da un canto altrettanto moderno.
Per quanto riguarda il brano è una rielaborazione bellissima della "Pizzica pizzica di Nardò", basata sullo stile della tamburellista Salvatora Marzo, storica accompagnatrice di Luigi Stifani. Anche le strofe sono tradizionali.
Rispetto alla più conosciuta interpretazione dei "Musicanova" nell'lp "Garofano d'ammore", qui non si ha voglia di imitare le tarantate in maniera teatrale, qui c'è la calma e la coscienza della tipicità.
Il cd si chiude con un altro dei numerosi inediti che lo costellano, interpretato da un trio di ottime cantanti che gira sotto il nome di "E quista è la strada de le donne belle". Il brano è "Luna otrantina", scritto in italiano negli anni '70 da Rina Durante, colei che abbiamo visto essere stata la maggiore colpevole dell'inizio delle ricerche e soprattutto del dialogo di questa musica con il nostro tempo. Il brano, nella mia ignoranza, posso semplicemente descriverlo come un dialogo tra tre voci che alternano momenti di forte tradizione, ad altri di altrettanto forte modernità.
Vorrei consigliare questo disco sia a chi non accetta la riproposta, così ne impara a capire la complessità e l'importanza per la sopravvivenza di questa musica, sia a chi crede di conoscerla con l'ascolto di coloro che modernizzano il folklore senza dialogare con la tradizione, sfruttandone solo le matrici.
Spero che questo cd possa portarvi in un viaggio intrigante, lungo cinquant'anni, in grado di rapirti ed imprigionarti nel suo cerchio.

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