domenica 7 giugno 2009

Intervista a Cataldo Perri.

Carissimi lettori, aggiorno questo blog pubblicando una bellissima e lunghissima intervista ad un mio grande amico, il chitarrista e cantautore calabrese Cataldo Perri, soprannominato da me, per la sua tecnica personalissima sulla chitarra battente, "La battente più battente di Calabria".
D: Qual era la musica che circolava nella tua famiglia quando eri piccolo?
R: Mi sono formato molto con brani del bellissimo repertorio classico napoletano, oltre alla tradizione calabrese che, nel periodo natalizio, si materializzava come per miracolo. In quel periodo venivano i vicini del nostro rione a farci gli auguri, e questa era l'occasione per cantare tutto il repertorio della tradizione, dalla "Strina" alle serenate, attorno ad un bracere.
D: Quando hai cominciato a prendere in mano una chitarra?
R: Facevo le scuole medie. C'era un gruppo di suonatori anziani che si esibiva all'interno delle feste conviviali, battesimi, cresime e matrimoni, costituito da un bravissimo violinista non vedente, Zu Lunardo, e da due chitarristi. La magia di quei suoni mi emozionava sempre, io da allora cercai di toccare sempre la chitarra. Mi ricordo che, in occasione di un Natale, mio padre mi disse di andare da Zu Rosario, un altro di quei suonatori anziani, affinché ci prestasse la sua chitarra per le festività. Durante la passeggiata di ritorno a casa, inconsapevolmente, si creava questa dipendenza dal suono della chitarra, che tutt'ora mi caratterizza.
D: Questa era ancora una chitarra classica...
R: Sì, la battente allora la sentivo raramente solo in occasione di qualche festa. Mi ricordo, però, di esserne restato subito affascinato. Qualche volta sentivo vari suonatori, anche provenienti da fuori paese, che, sempre per il periodo natalizio, si portavano dietro strumenti come l'organetto e la chitarra battente.
La battente come strumento, l'ho scoperta già maturo.
Io ho fatto l'università a Perugia, e lì ho potuto fare un viaggio meraviglioso nell'universo musicale dei vari popoli del mondo, perché, sulle scalette di S. Ercolano, negli anni Settanta si riunivano suonatori di varie nazioni, ed ognuno proponeva le proprie tradizioni. Io, quasi per istinto, ho recuperato le mie radici, proponendo, con altri miei conterranei, tarantelle e altri canti della tradizione calabrese.
Tornato nel mio paese da laureato, mi sono ricordato della battente. L'ho cercata per tanto tempo, fino a quando ne ho vista una, costruita da Nicola de Bonis, a casa di un mio amico e collega. Anche lì fu una folgorazione, quindi andammo insieme da Vincenzo de Bonis e me ne comprai una.
D: Quando è nato il tuo particolarissimo modo di suonare lo strumento?
R: La mia tecnica, che poi è una semplice percussione con il pollice sulla cassa mentre si fanno gli accordi, è nata quasi subito. Il mio collega suonava in maniera tradizionale, ma io ancora non lo sapevo fare, l'avrei imparato dopo. Questa mia tecnica, forse, è nata così istintivamente perché non ho avuto insegnanti, ed ero ancora molto digiuno di suonatori tradizionali.
D: Secondo molti esperti la chitarra battente De Bonis non è la vera chitarra battente calabrese. Che ne pensi?
R: In Calabria, anche a seconda del luogo geografico, la battente ha varie strutture (vedere l'intervista ad Alfonso Toscano n.d.r.), ma io gli strumenti dei De Bonis li ho sempre visti, anche nelle fiere di paese. Va detto che, anche quand'ero piccolo, vi erano numerosi "chitarrari" (persone che portavano propri strumenti di liuteria), che si ispiravano alle forme ed alle strutture dei De Bonis. Oggi in Calabria vi sono altri notevoli liutai, perché questa tradizione va avanti, ma la famiglia di Bisignano resta il riferimento principale sulla battente.
D: Tornando a te, la tua prima esperienza musicale è stata "Rotte saracene", uscito in cassetta con il titolo "Sole battente".
R: Già dal periodo universitario, dato che a Perugia convivevo con musicisti di altre nazioni, mi è venuta la voglia di comporre. All'epoca composi principalmente una canzone, intitolata "Laura e il sultano", ispirata ad una storia semileggendaria di una mia compaesana che fu rapita dai Turchi durante un feroce assalto al paese nel maggio del 1540, e fu portata a Costantinopoli. Lì lei impara a tessere il telaio "alla turchesca", e riporta questa ricchezza nella sua terra. La forza di questa storia, che avevo letto in un libro d'un mio compaesano, mi dette l'idea di fare uno spettacolo di danze e prosa, che fosse un viaggio nelle sonorità di tutto il mediterraneo.
La gente che veniva allo spettacolo teatrale, spesso chiedeva informazioni su dove poter trovare i brani. Io, dopo aver incontrato Gigi De Rienzo, manager di Tony Esposito, che mi aveva addirittura proposto di lasciare la mia professione di medico per dedicarmi completamente alla musica, incisi questa musicassetta con alcuni grandi musicisti come Emidio Ausiello, Nuova Compagnia di Canto popolare, ai tamburi.
D: Come componi un brano?
R: Innanzitutto io faccio la musica, soprattutto con la chitarra battente, che è lo strumento che suono di più in assoluto. Di solito mi metto nella mia mansarda, la sera o i pomeriggi d'inverno quando non lavoro, ed incomincio a vagare sullo strumento, alla ricerca di quel quid, che mi sta già segretamente guidando, ma che non ha ancora un volto. Quando sento di averlo trovato, comincio a canticchiare delle cose nonsense. Facendone un'analisi, però, ho notato che in queste parole slegate, ricorrono sempre elementi della natura che a me, che abito a duecento metri dal mar Ionio, stanno particolarmente vicini. Con queste parole slegate, nasce la metrica del brano, sulla quale, dopo aver capito ciò che con esso voglio raccontare, metto le parole giuste.
Non mi è mai capitato il contrario, eccezion fatta per l'ultima cosa da me scritta. Avevo scritto una poesia su una cosa che fa arrabbiare molti calabresi, sulla mafia, intitolata "Uomini d'onore". Successivamente mi sono detto che la dovevo musicare. Per me non è stato facile, mi ha stimolato a farlo un mio amico che sta preparando una compilation con vari brani di artisti calabresi. Durante la messa in musica ho cambiato molte cose al testo, si intitola "Il mio Sud", ed il disco che la conterrà, i cui proventi andranno alll'associazione Libera di Don Ciotti, si intitolerà "Viaggio a Sud".
D: Abbiamo accennato alla tua prima esperienza come "cantautore etnico" , che è stata seguita da quella con gli "Agorà". Parliamone un po'.
R: Da quando sono a Cariati, ogni tanto ho avuto esperienze amministrative, a volte anche con pause di quindici anni, adesso ad esempio ho ricominciato. Nel 1986 organizzai la prima rassegna dell'estate cariatese che avesse un filo logico. In quell'occasione invitai i "Licosa Tarentula", gruppo di Tiriolo guidato da Totò Critelli e Masino Leone, i quali addirittura avevano imparato a costruire gli strumenti della tradizione. Dopo il concerto ci mettemmo a suonare insieme, io gli mostrai la mia tecnica particolare sulla battente, e nacque l'idea di fare un gruppo. Così nacquero gli Agorà, a cui io aggiunsi altri due amici di Cariati, il chitarrista Peppino Donnici ed il violinista Piero Gallina. Con questo gruppo girammo il mondo per circa sette o otto anni, riproponendo in maniera rigorosa il patrimonio della tradizione. A me, però, questo non bastava quindi provai a far eseguire alcuni brani miei al gruppo. Il mio stile compositivo, spesso, non si sposava con lo stile dei musicisti, quindi questo, oltre alla distanza e al fatto che sia io che Totò Critelli facessimo contemporaneamente altre cose, contribuì allo scioglimento del gruppo. Gli Agorà, comunque, hanno inciso un disco "Tinghi e tingone", dove, oltre ad alcuni brani della tradizione, si sentono due brani miei: "Anima saracena" e "Tarantella battente".
D: Parliamo un po' di Bastimenti.
R: Dopo aver lavorato sulle esperienze più arcaiche della storia calabrese, mi venne in mente di scrivere un album dedicato a mio nonno, uno dei tanti emigranti calabresi in Argentina che non hanno fatto fortuna. Mia madre mi raccontava che lui era partito nel 1924 e per dieci anni aveva mandato rimesse alla famiglia. Dopo, tramite alcuni emigranti di ritorno, si seppe che si era dato all'alcool, e per questo aveva perso numerosi lavori. L'album è nato da un brano intitolato "Argentina", che ho composto praticamente di getto. Lo feci sentire ad Armando Corsi, grande chitarrista classico ottimo suonatore di musica sudamericana, e fu lui a coinvolgere nelle registrazioni Mario Arcari, sassofonista che aveva suonato anche con Fabrizio de Andrè. L'album, che giocava sempre fra andata e ritorno dalla Calabria all'America Latina, si chiudeva con la "Tarantella du Barilli" incisa con gli Agorà.
Spero che, con questa intervista, ho dato un esempio di onestà e coerenza, di una persona che orgogliosamente vuole fare qualcosa di "altro" dalla tradizione e ne è cosciente.

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