sabato 27 giugno 2009

Youtube: basta!

Carissimi lettori, questo diario di parole in libertà sulla musica, questa sera è aggiornato con un paio di osservazioni su youtube.
Ritengo questo sito completamente insensato, dotato dell'unico vantaggio dell'accesso istantaneo ai materiali, questo è vero, ma la qualità è spessissimo scadente.
Si parla spesso di proibire gli mp3 e la pirateria, io, signori, prima vieterei le riprese con il telefonino cellulare.
Per far felice un mio amico, questo pomeriggio gli ho fatto vedere un paio di video riguardanti gli Officina Zoè. Non abbiamo fatto altro che dire, ad ogni video: "bellissimi brani ma audio indecente!".
Tra una registrazione così ed un commento scritto ad una qualsiasi cosa, preferisco di gran lunga la recensione personale, perché, fra l'altro, con essa chi scrive mostra la sua formazione. (Chi fa quei video, invece, dimostra la sua stupidità e la sua mancanza di rispetto per l'arte).
Mondo a parte, fortunatamente, è quello che, anche su Youtube, riporta alla musica classica. Siccome lì i telefonini sono vietati, la gente è obbligata a spendere i soldi sui dvd, quindi le riprese sono buone.
Se faceste così anche per la musica leggera e popolare, giuro che io brinderei all'evento.
Youtube: basta!

mercoledì 24 giugno 2009

I Calanti "W ci zumpa"

Carissimi lettori, questa sera debbo scrivere, perché ho finalmente ricevuto il cd + dvd de I Calanti "W ci zumpa".I Calanti è uno dei gruppi più interessanti all'interno del panorama della riproposta salentina, ed è reperibile agli indirizzi internet http://www.icalanti.com/, www.myspace.com/icalanti e www.myspace.com/icalanti-pizzica.Il dvd, che è contenuto nello stesso disco che contiene i brani audio, si apre, come il cd, con la "carmina", tarantella spassosa, che però contiene spunti tragici perché, anche se la versione del gruppo non lo fa sospettare, il protagonista in alcune versioni, riesce ad ottenere l'amore della propria amata solo quando muore. Subito dopo, il gruppo ugentino ci propone una vibrantissima e coinvolgente versione di "Ahi lu core meu", altrimenti conosciuta come "Pizzica di Ugento".
Le strofe, come sempre nel gruppo, sono in parte del patrimonio comune, in parte di quello della famiglia Colitti, a cui appartiene gran parte del gruppo, il cui nonno veniva soprannominato "Lu calante", ecco spiegato il nome del gruppo.
Ed ecco, a seguire, rallentando di poco il ritmo, una bellissima versione di "Ninella de Calimera", intitolata "Zumpa ninella". Tra le strofe, quasi mai riprese dagli Ucci, si ripete il ritornello "Zumpa ninella, ninella, ninà, zumpa ninella beddrha mia ci t'aggiu fà". La variante comune invece è: "Zumpa ninella, ninella, ninà, zumpa ninnella ricciolina e lariulà".Cosiccome nella tradizione, le strofe di questa tarantella, sono di contenuto "romantico-piccante".
Il finale, per costringere i ballerini a "zumpare" forsennatamente, è portato a pizzica.
Ed ecco la prima effettiva sosta nel ballo, con la bellissima versione dei Calanti di uno dei più grandi classici della tradizione salentina "Lu rusciu de lu mare".
Per chi conosce la musica popolare salentina di "riproposta", questa versione potrebbe ricordare molto da vicino quella degli Aramirè, ancora più arricchita ed elaborata, con due chitarre che si rimpallano nell'accompagnare Irene Colitti, voce femminile del gruppo, nella sua sanguigna e semplice interpretazione. Da citare è anche il sostegno, prevalentemente sui bassi, della fisarmonica di Simone Colitti. Nelle parti finali di ogni strofa, poi, troviamo il controcanto di Daniele Colitti.
Le varianti particolari fatte sull'ultima strofa, dove il terzo "vola" viene troncato e "jeu lu core meu te l'aggiu dare" viene detto una volta sola, non fanno mancare il romanticismo di cui ha bisogno questa versione.
Come fanno quasi tutti, anche i Calanti continuano il brano, con una versione in minore, ispirata a quella creata dagli Alla Bua alla fine degli anni Ottanta. Qui, per fortuna, invece di usare astrusi ritmi mediterranei, si preferisce utilizzare quello salentino della pizzica. Il romanticismo, secondo me alla base di questo brano, perché presente in ogni sua parola, nelle versioni velocizzate se ne va un po' via, ma se si vuole far "zumpare" la gente bisogna fare così. Comunque, signori, questa versione a pizzica, non è assolutamente male. Gli aspetti della trama della canzone che riecheggiano la Spagna e la turchia, sono presenti con gli assoli di chitarra flamenca molto buoni.
Subito dopo, presentata dalla potente voce di Daniele Colitti, arriva "Lu pulice", melodia molto poco frequentata dai gruppi di riproposta vicini alla tradizione, in compenso rovinata da una delle tante edizioni della Notte Della Taranta.
Le strofe, però, come era stato già notato per "Zumpa ninella" rispetto alla "Ninella de Calimera" degli Ucci, sono completamente diverse da quelle presenti nell'"Italian treasury Puglia: the Salento" di Alan Lomax e nella Notte Della Taranta, che d'altronde si limita a ricopiare, rovinando l'arrangiamento, il documento citato.
Lo stile dei Calanti è molto basato sull'improvvisazione, infatti l'attacco di "Ci vorrebbe una zitella", canto tra i meno noti per lo meno per chi vive fuori dal Salento, è completamente diverso, nelle sue note, da quello presente nel corrispondente cd audio.
L'interpretazione dei Calanti, sarà il caso di dirlo, non è sicuramente filologica a livello di uso della voce principale, ma è assolutamente ineccepibile a livello di controcanti, ed è tra le migliori che io possa conoscere.
La particolarità dei Calanti, si sarà già notato, è l'assenza del violino, che, invece di essere usata come pretesto per l'intrusione di strumenti estranei come negli Alla Bua, è utilizzata per dare il giusto risalto senza renderla invadente, alla chitarra classica, strumento che nella musica popolare salentina, di solito, è abituata a fare un ruolo di strumento comprimario.
Ancora una volta, nel brano successivo, "Ttuppe ttuppe", melodia comunemente ripresa dalla versione degli Ucci anche se non particolarmente cantata nel Salento, le strofe sono diverse o comunque variate rispetto alla versione su citata, contenuta nel cd "Bonasera a quista casa" pubblicato dalle Edizioni Aramirè di Lecce.
Ed ecco qui, su una variante di pizzica di cui non so esattamente la denominazione, una bellissima pizzica "a botta" subitamente seguita dalla ripresa dello stesso tema accompagnato dagli strumenti. Il brano, sempre composto da strofe tradizionali, si intitola "Te l'aggiu tittu", ed è di tematica romantica, e contiene anche alcune strofe utilizzate comunemente nelle serenate.
Ed eccoci, con lo stesso ritmo di "Ttuppe ttuppe", adf un bran intitolato "Ricciolina", con strofe di tematica varia, sempre tradizionali, come tutto il migliore repertorio del gruppo.
Se si volesse trovare un difetto ai Calanti, infatti, si potrebbe dire che non sanno comporre brani, se si cerca, come faccio io, nella pizzica testi con tematica profonda.
I loro testi, infatti, per ciò che conosco io, oltre a raccontare la storia della loro famiglia, importantissima per apprezzarli in pieno, si limitano ad esaltare il tamburello, il Salento e la pizzica. (Scusate la schiettezza ma questo è un po' troppo poco!).
Il prossimo brano, pizzica spesso basata su strofe usate anche da Otello Profazio nella sua "Tarantella cantata", si chiama "'Mparinatu". E' una pizzica in maggiore, dove, per dimostrare che comunque ci sanno fare e vogliono che la gente "zumpi" ma con rispetto, fanno delle pausette di ritmo molto accattivanti.
Ecco un brano molto simile ad uno stornello, intitolato "lu male". E' un collage di strofe, spesso piccantine, unite da una frase che ricorda che solo l'amore può curare i mali del cuore.
In questo concerto i Calanti dimostrano tutta la loro bravura, i brani vengono rivissuti, non stravolti, con la semplicità di un'orchestrina popolare, ma con l'abilità di suonatori coscienti che il mondo è cambiato, e che alcune sfumature così caratteristiche dell'antico canto salentino, oggi non si accettano più.
Nello spettacolo dei Calanti, c'è anche tempo per il ricordo delle tabacchine, e per il canto che, forse più di tutti, le rappresenta se non altro nell'immaginario di un salentino, la serie di strofe sciolte nota sotto il titolo di "'A tabaccara".
La festosità così tipica del gruppo, devo dire che non inficia la riflessione che, inevitabilmente, questo brano porta con sé. Il tamburello, che comunque nei Calanti non è mai sguaiato, qui imita quasi, con il battito forte della mano, il passo delle operaie che soffrono nell'andare al lavoro in quelle condizioni disumane. Il brano, nonostante l'ironia che spesso porta a sottovalutare la musica di protesta del Sud Italia rispetto ai ben più noti e forti canti delle mondine, è un brano dove, tra l'altro si chiede l'allontanamento della capa del magazzino.
Ed ecco una particolarissima interpretazione di "Santu Paulu" che, contrariamente alla versione in studio che inizia a cappella ma direttamente veloce, qui inizia lenta, e diventa veloce con l'entrata dell'armonica, strumento che, ingiustamente, la riproposta sottovaluta.
Nel testo, cosa poco comune perché c'è ormai il mito della donna tarantata, si fa cenno ai casi, meno numerosi ma non per questo assenti, di tarantismo maschile.
Il brano, che ha nell'armonica l'unico strumento solista, continua poi con altre strofe classiche dedicate al tamburello e si conclude con un bellissimo, e più che mai azzeccato, assolo dello strumento in questione. Questo assolo, e ciò dovrebbe servire da lezione a moltissimi, non smette mai di andare a tempo. La terzina, ogni tanto, è semplicemente magari eseguita senza il battito forte, causando leggeri controtempi, che mai impediscono alla gente di tenere il tempo con il piede, evitando, di conseguenza, la deplorevole "batterizzazione" della percussione popolare italiana. E' vero che magari gli strumentisti che usano queste tecniche lo fanno ispirandosi a usi tradizionali in altri paesi, ma è anche vero che, dico io, rivendicare la nostra identità come cultura popolare, ogni tanto non fa mica male.
Ed ecco un brano, che riecheggia gli "Stornelli calabresi" di Profazio, che inizia, come il brano a cui lo si paragona, con i riferimenti alla vigna, che qui, mentre nel calabrese è probabilmente rovinata dalla maleducazione umana, è rovinata dagli animali.
Le strofe sono quasi identiche tra i due brani, ma, spesso lo si dimentica, le strofe popolari migravano con le persone che le sapevano. Il brano dei Calanti è più corto, è non contempla la parte che Profazio dedica ad un tradimento amoroso e alla sua condanna.
Ecco che i Calanti, con "Lu Salentu", ci dànno un esempio di questa loro vena compositiva festosa. Il brano è una pizzica, caratterizzata, come molto repertorio del gruppo, dal terzo accordo, situato una quarta più su rispetto alla tonalità di partenza del brano. Ciò che non mi fa amare molto questo brano, è, probabilmente, la troppa somiglianza che riscontro tra il suo inizio e quello del brano "Mangiafuoco" di Edoardo Bennato, che non mi è mai piaciuto più di tanto.
I Calanti, nei loro brani d'autore, hanno il difetto tipicamente salentino, di sentire come qualcosa di "stretto" la tradizione con le sue pratiche armoniche.
Comunque, subito dopo, arriva una rielaborazione de "Lu scarparu", brano che io conoscevo solo nella versione degli Alla Bua, presente nel già recensito "Stella lucente".
Il brano, come già si è notato nelle altre, però, non è una copia della versione su citata, ha delle strofe diverse e, qui, contrariamente alla versione da studio, non finisce a pizzica.
Siamo arrivati alla nota dolente di ogni concerto di musica popolare salentina che si rispetti, ossia alla "Kali nifta". Qui il brano è veloce e, purtroppo, non conserva assolutamente la sua anima romantica, ma a queste caratteristiche ci sono rassegnata. Il ritornello è portato a pizzica, ma non è esageratamente veloce. Il pubblico, incitato da Daniele Colitti, leader del gruppo, canta il ritornello.
Ecco degli stornelli alla maniera di Uccio Aloisi, meno comune piuttosto che quella che l'anziano cutrofianese chiama "salentina".
Il concerto, come è giusto che sia e come è evidenziato dal leader del gruppo, si chiude con un pezzo dedicato alla "'ngiuria" con cui la famiglia Colitti è conosciuta nel paese, da cui poi il gruppo ha preso il nome.
Non vi parlerò del cd, perché esso è la riproposizione in studio di molti dei brani del concerto.
E' un disco che vi consiglio perché permette di scoprire un gruppo che, pur pretendendo dare un'aria di modernità alla musica salentina, non ne scorda mai le origini.
Buon ascolto!

lunedì 22 giugno 2009

"Chicche officiniane"

Carissimi lettori, oggi mi va di scrivere per darvi un paio di anticipazioni "officiniane".
Gli Zoè, che anche il più sprovveduto avrà capito essere il mio gruppo preferito per quanto riguarda la pizzica e i suoi dintorni, stanno per pubblicare un nuovo cd, di cui, finalmente, si sa qualcosa di molto fondamentale.
Intanto il titolo è "Maledetti guai" ed uscirà a fine mese, sempre per la Polosud di Napoli.
Se vi volete sentire il singolo di lancio, quel gioiello presentatoci al Concertone della Notte Della Taranta come "Pizzica de Santu Sebastianu", dovete accontentarvi di due video, entrambi vergognosi (uno abbastanza e l'altro del tutto!), girati da dei cretini che così credono di fare un servizio a Zoè e a noi meno fortunati, mentre ci rintronano solo le orecchie.
I due video, ambientati rispettivamente a Milano ed a Roma, rappresentano degli spezzoni di due concerti recentissimi dell'Officina Zoè, il primo a Milano, in occasione de "La taranta a Milano", e l'altro a Roma, all'interno della rassegna di musiche dal mondo di Villa Ada, dove gli Zoè sono da anni presenza fissa.
Le altre "chicche officiniane" che volevo darvi sono interne a questo blog, ed una, forse, per chi mi conosce bene, dalla lettura di questo articolo, risulterà scontata.
La prima è che, al più presto, su queste pagine campeggerà una recensione del concerto di Villa Ada scritta da Gianluca, il mio amico con cui ho già condiviso la "recensione 'officiniana' a quattro mani".
L'altra, quella scontata, è che, non appena mi arriverà il cd "Maledetti guai" tra le mani, ve ne parlerò con il mio solito trasporto e la mia normale scientificità.
Per ora, amici, saluti "officiniani" a tutti!

martedì 9 giugno 2009

Un po' di chicche meridionali

Carissimi lettori, questa sera mi va di nuovo di scrivere.
Voglio tornare a parlare un po' di musica del Sud Italia, consigliandovi un paio di buoni gruppi da ascoltare.
Intanto, in onore ad una grandissima amicizia che è nata virtualmente tramite http://www.pizzicata.it/, voglio spendere qualche parola sui Taranta Social Club, gruppo nato da una costola importante degli Alla Bua, da quella formazione a cui si deve il bellissimo e già recensito "Stella lucente".
Il gruppo, almeno nel suo myspace, reinterpreta benissimo due brani tratti da quell'album, come "Torna de fore" e "Stella lucente", più un'inimitabile versione di "pizzicarella", dove l'armonica di Umberto Panico ci dimostra quanto siano inutili flauti virtuosistici o violini che scimmiottano Stifani senza dare alternative.
Il gruppo, fondato da Panico dopo la sua uscita dagli Zimbarie, gruppo che Zimba aveva creato dopo la sua dipartita dagli Zoè, ha uno stile notevolmente influenzato dall'esperienza della ronda a S. Rocco a Torrepaduli, dove l'armonica ed i tamburelli sono importantissimi e non c'è niente altro ad accompagnare la scherma.
Il gruppo, con lo stesso spirito, interpreta con maestria molto repertorio salentino.Un po' di materiale, immesso dallo stesso Panico, è reperibile anche su Youtube, ma i loro recapiti "ufficiali" sono: http://www.tarantasocialclub.it/, e www.myspace.com/tarantasocialclub.
L'Emilia-Romagna negli ultimi anni ha visto aumentare la sua popolazione di studenti meridionali in maniera fortissima, ed i gruppi che si dedicano alla riproposizione di questo repertorio non si contano. Con un repertorio generalmente dedicato a tutto il Sud Italia, sono notevoli i Kalukapu, reperibili su http://www.kalukapu.it/ e www.myspace.com/kalukapu. Il gruppo è estremamente filologico ed esegue pezzi strumentali interessantissimi.
Meno filologici ma ugualmente interessanti sono i Cauliae. Anche questo ensemble, formato da persone provenienti da Puglia e Campania, si dedica alla reinterpretazione del folk di quelle terre, ma vi si sentono armonie più nuove. Inimitabile, per la sua filologia, è la Rodianella-Montanara carpinese presente nel loro sito www.myspace.com/cauliae. Molto coinvolgente è anche la loro montemaranese: molto difficilmente riuscirete a tenere a bada il piedino!
Questo piccolo articolo, involontariamente incentrato prevalentemente su gruppi della "diaspora" emiliano-romagnola, si chiude con la segnalazione di un progetto dove si fondono, tramite la creazione di un repertorio specifico, gli universi del rock, che comunque non fa scomparire mai il folk, quello del jazz e la nostra musica popolare. Il progetto è nato a Bologna, ha al suo interno due membri del già consigliato gruppo Maracinesente, e si chiama Fadodafne.
Non vi voglio dire di più, perché voglio che andiate su www.myspace.com/fadodafne, andandoveli a scoprire con le vostre orecchie.Questi gruppi dimostrano che, signori miei, in questo periodo in cui tutto fa brodo, esiste ancora gente cosciente di ciò che decide di fare!

domenica 7 giugno 2009

Intervista a Cataldo Perri.

Carissimi lettori, aggiorno questo blog pubblicando una bellissima e lunghissima intervista ad un mio grande amico, il chitarrista e cantautore calabrese Cataldo Perri, soprannominato da me, per la sua tecnica personalissima sulla chitarra battente, "La battente più battente di Calabria".
D: Qual era la musica che circolava nella tua famiglia quando eri piccolo?
R: Mi sono formato molto con brani del bellissimo repertorio classico napoletano, oltre alla tradizione calabrese che, nel periodo natalizio, si materializzava come per miracolo. In quel periodo venivano i vicini del nostro rione a farci gli auguri, e questa era l'occasione per cantare tutto il repertorio della tradizione, dalla "Strina" alle serenate, attorno ad un bracere.
D: Quando hai cominciato a prendere in mano una chitarra?
R: Facevo le scuole medie. C'era un gruppo di suonatori anziani che si esibiva all'interno delle feste conviviali, battesimi, cresime e matrimoni, costituito da un bravissimo violinista non vedente, Zu Lunardo, e da due chitarristi. La magia di quei suoni mi emozionava sempre, io da allora cercai di toccare sempre la chitarra. Mi ricordo che, in occasione di un Natale, mio padre mi disse di andare da Zu Rosario, un altro di quei suonatori anziani, affinché ci prestasse la sua chitarra per le festività. Durante la passeggiata di ritorno a casa, inconsapevolmente, si creava questa dipendenza dal suono della chitarra, che tutt'ora mi caratterizza.
D: Questa era ancora una chitarra classica...
R: Sì, la battente allora la sentivo raramente solo in occasione di qualche festa. Mi ricordo, però, di esserne restato subito affascinato. Qualche volta sentivo vari suonatori, anche provenienti da fuori paese, che, sempre per il periodo natalizio, si portavano dietro strumenti come l'organetto e la chitarra battente.
La battente come strumento, l'ho scoperta già maturo.
Io ho fatto l'università a Perugia, e lì ho potuto fare un viaggio meraviglioso nell'universo musicale dei vari popoli del mondo, perché, sulle scalette di S. Ercolano, negli anni Settanta si riunivano suonatori di varie nazioni, ed ognuno proponeva le proprie tradizioni. Io, quasi per istinto, ho recuperato le mie radici, proponendo, con altri miei conterranei, tarantelle e altri canti della tradizione calabrese.
Tornato nel mio paese da laureato, mi sono ricordato della battente. L'ho cercata per tanto tempo, fino a quando ne ho vista una, costruita da Nicola de Bonis, a casa di un mio amico e collega. Anche lì fu una folgorazione, quindi andammo insieme da Vincenzo de Bonis e me ne comprai una.
D: Quando è nato il tuo particolarissimo modo di suonare lo strumento?
R: La mia tecnica, che poi è una semplice percussione con il pollice sulla cassa mentre si fanno gli accordi, è nata quasi subito. Il mio collega suonava in maniera tradizionale, ma io ancora non lo sapevo fare, l'avrei imparato dopo. Questa mia tecnica, forse, è nata così istintivamente perché non ho avuto insegnanti, ed ero ancora molto digiuno di suonatori tradizionali.
D: Secondo molti esperti la chitarra battente De Bonis non è la vera chitarra battente calabrese. Che ne pensi?
R: In Calabria, anche a seconda del luogo geografico, la battente ha varie strutture (vedere l'intervista ad Alfonso Toscano n.d.r.), ma io gli strumenti dei De Bonis li ho sempre visti, anche nelle fiere di paese. Va detto che, anche quand'ero piccolo, vi erano numerosi "chitarrari" (persone che portavano propri strumenti di liuteria), che si ispiravano alle forme ed alle strutture dei De Bonis. Oggi in Calabria vi sono altri notevoli liutai, perché questa tradizione va avanti, ma la famiglia di Bisignano resta il riferimento principale sulla battente.
D: Tornando a te, la tua prima esperienza musicale è stata "Rotte saracene", uscito in cassetta con il titolo "Sole battente".
R: Già dal periodo universitario, dato che a Perugia convivevo con musicisti di altre nazioni, mi è venuta la voglia di comporre. All'epoca composi principalmente una canzone, intitolata "Laura e il sultano", ispirata ad una storia semileggendaria di una mia compaesana che fu rapita dai Turchi durante un feroce assalto al paese nel maggio del 1540, e fu portata a Costantinopoli. Lì lei impara a tessere il telaio "alla turchesca", e riporta questa ricchezza nella sua terra. La forza di questa storia, che avevo letto in un libro d'un mio compaesano, mi dette l'idea di fare uno spettacolo di danze e prosa, che fosse un viaggio nelle sonorità di tutto il mediterraneo.
La gente che veniva allo spettacolo teatrale, spesso chiedeva informazioni su dove poter trovare i brani. Io, dopo aver incontrato Gigi De Rienzo, manager di Tony Esposito, che mi aveva addirittura proposto di lasciare la mia professione di medico per dedicarmi completamente alla musica, incisi questa musicassetta con alcuni grandi musicisti come Emidio Ausiello, Nuova Compagnia di Canto popolare, ai tamburi.
D: Come componi un brano?
R: Innanzitutto io faccio la musica, soprattutto con la chitarra battente, che è lo strumento che suono di più in assoluto. Di solito mi metto nella mia mansarda, la sera o i pomeriggi d'inverno quando non lavoro, ed incomincio a vagare sullo strumento, alla ricerca di quel quid, che mi sta già segretamente guidando, ma che non ha ancora un volto. Quando sento di averlo trovato, comincio a canticchiare delle cose nonsense. Facendone un'analisi, però, ho notato che in queste parole slegate, ricorrono sempre elementi della natura che a me, che abito a duecento metri dal mar Ionio, stanno particolarmente vicini. Con queste parole slegate, nasce la metrica del brano, sulla quale, dopo aver capito ciò che con esso voglio raccontare, metto le parole giuste.
Non mi è mai capitato il contrario, eccezion fatta per l'ultima cosa da me scritta. Avevo scritto una poesia su una cosa che fa arrabbiare molti calabresi, sulla mafia, intitolata "Uomini d'onore". Successivamente mi sono detto che la dovevo musicare. Per me non è stato facile, mi ha stimolato a farlo un mio amico che sta preparando una compilation con vari brani di artisti calabresi. Durante la messa in musica ho cambiato molte cose al testo, si intitola "Il mio Sud", ed il disco che la conterrà, i cui proventi andranno alll'associazione Libera di Don Ciotti, si intitolerà "Viaggio a Sud".
D: Abbiamo accennato alla tua prima esperienza come "cantautore etnico" , che è stata seguita da quella con gli "Agorà". Parliamone un po'.
R: Da quando sono a Cariati, ogni tanto ho avuto esperienze amministrative, a volte anche con pause di quindici anni, adesso ad esempio ho ricominciato. Nel 1986 organizzai la prima rassegna dell'estate cariatese che avesse un filo logico. In quell'occasione invitai i "Licosa Tarentula", gruppo di Tiriolo guidato da Totò Critelli e Masino Leone, i quali addirittura avevano imparato a costruire gli strumenti della tradizione. Dopo il concerto ci mettemmo a suonare insieme, io gli mostrai la mia tecnica particolare sulla battente, e nacque l'idea di fare un gruppo. Così nacquero gli Agorà, a cui io aggiunsi altri due amici di Cariati, il chitarrista Peppino Donnici ed il violinista Piero Gallina. Con questo gruppo girammo il mondo per circa sette o otto anni, riproponendo in maniera rigorosa il patrimonio della tradizione. A me, però, questo non bastava quindi provai a far eseguire alcuni brani miei al gruppo. Il mio stile compositivo, spesso, non si sposava con lo stile dei musicisti, quindi questo, oltre alla distanza e al fatto che sia io che Totò Critelli facessimo contemporaneamente altre cose, contribuì allo scioglimento del gruppo. Gli Agorà, comunque, hanno inciso un disco "Tinghi e tingone", dove, oltre ad alcuni brani della tradizione, si sentono due brani miei: "Anima saracena" e "Tarantella battente".
D: Parliamo un po' di Bastimenti.
R: Dopo aver lavorato sulle esperienze più arcaiche della storia calabrese, mi venne in mente di scrivere un album dedicato a mio nonno, uno dei tanti emigranti calabresi in Argentina che non hanno fatto fortuna. Mia madre mi raccontava che lui era partito nel 1924 e per dieci anni aveva mandato rimesse alla famiglia. Dopo, tramite alcuni emigranti di ritorno, si seppe che si era dato all'alcool, e per questo aveva perso numerosi lavori. L'album è nato da un brano intitolato "Argentina", che ho composto praticamente di getto. Lo feci sentire ad Armando Corsi, grande chitarrista classico ottimo suonatore di musica sudamericana, e fu lui a coinvolgere nelle registrazioni Mario Arcari, sassofonista che aveva suonato anche con Fabrizio de Andrè. L'album, che giocava sempre fra andata e ritorno dalla Calabria all'America Latina, si chiudeva con la "Tarantella du Barilli" incisa con gli Agorà.
Spero che, con questa intervista, ho dato un esempio di onestà e coerenza, di una persona che orgogliosamente vuole fare qualcosa di "altro" dalla tradizione e ne è cosciente.