martedì 7 aprile 2009

Parlando degli Aramirè

Carissimi lettori, oggi voglio tornare a parlare di musica popolare salentina, facendo un omaggio al gruppo che io ritengo il principale "colpevole" del viscerale amore che ho per questa musica: gli Aramirè.
Tengo a precisare che non saranno tutte lodi, anzi manderò loro un bel po' di "Mazzate pesanti", che però sono sicura non arriveranno al bersaglio perché sono sferrate con amore.
Il mio primo contatto con la musica salentina fu nel 1998 quando, ad una Festa dell'"Unità", come supporter degli Inti-Illimani, noto gruppo cileno di cui presto si dovrà riparlare in questo blog, si esibì il gruppo degli Xanti Yaca.
Sinceramente non riesco a ricordarmi niente di quella scoperta, se non la rabbia causatami dal dover ascoltare un qualcosa che non sapevo di dover ascoltare.
Io, però, sono una persona che, spesso e volentieri, torna, magari casualmente, su quasi tutte le strade che il destino le fa piano piano percorrere. Una cosa simile si verificò quando mi arrivarono delle cassette da Taranto, e qualche anno dopo il doppio cd del Circolo Gianni Bosio "vent'anni e più di...", dove appunto scoprii gli Aramirè. Il cd ora non è più in mio possesso, ma non me ne dolgo da un punto di vista freddamente musicale. Emotivamente, naturalmente, questa è una grossa ferita, perché, appunto, da lì è nato questo grandissimo amore per tutto quello che è musica popolare del sud acustica e con strumenti tipici.
Per la scoperta effettiva degli Aramirè, però, dovetti aspettare due anni, ossia l'incontro con un musicista leccese residente a Perugia. Mi ricordo benissimo che una delle prime volte che ci incontrammo gli parlai di questo gruppo.
L'incontro successivo segnò la folgorazione tramite il cd "Sud est", che tutt'ora considero uno dei migliori lavori di musica popolare salentina (quella che io chiamo "popolare" è la musica tradizionale riproposta da professionisti o i brani d'autore che si rifanno a tutti o molti aspetti, incluso lo strumentario, di questa stessa musica).
Non mi ricordo quanto tempo passò prima di avere anche il primo cd degli Aramirè, che mi fu riportato sempre da questo amico mio direttamente da Lecce, ma posso dire di aver provato una felicità profondissima nell'averlo.
I rapporti con gli Aramirè si iniziarono a guastare quando mi fu masterizzato "Mazzate pesanti". Condividevo la teoria, e ancora la condivido, ma iniziavo a sentire che per esprimere questa teoria i cantanti si erano scordati di essere soprattutto artisti e non politicanti all'arringa. Il cd, tra i tre del gruppo, è difatti quello che amo di meno, che ho sentito di meno, e che forse mi ha formato di meno. Ho amato molto "Scusati signori", che mi dilettavo ad interpretare durante i nostri concerti di musica popolare salentina, "La tabaccara", per la sua insuperabile lentezza, ma in generale è un disco fiacco.
Ancora più fiacco mi risultò il concerto che andai a sentire in Puglia, alla "Sagra della municeddhra" di Cannole (Le) il 12 agosto 2005. Lì il gruppo non aveva messo in pratica nessuno dei "precetti" che Roberto Raheli, storico leader del gruppo, tuonava sia dal forum di http://www.pizzicata.it/ che sul blog degli Aramirè dove praticamente scriveva solo lui, all'indirizzo aramire.splinder.com.
Descrivendo ora quello che mi ricordo del concerto in questione dirò che i tamburelli erano scordinati, le voci senza pathos, ma soprattutto mi sconvolse, e me lo ricordo ancora, il fatto che il fisarmonicista suonasse solo con la mano sinistra. Mi arrabbiai alquanto anche perché, ad un anno dall'uscita di "Mazzate pesanti", il gruppo fece solamente un brano che io non conoscevo: "La carmina", che poi, tra l'altro, non ho neanche ritrovato da nessuna parte e mi dispiace moltissimo.
Questo, però, è ancora niente. Mi sono "stizzata" a morte con gli Aramirè quando hanno deciso di andarsene. Non mi sono arrabbiata per il fatto che se ne andassero, ma per il modo in cui l'hanno fatto, la loro rabbia, protervia e mancanza di effettiva voglia di lottare.
E' facile fare le cose quando non le fa nessuno, poiché, anche se si viene sbeffeggiati, in fondo non si ha un'effettiva concorrenza e non si deve difendere molto la propria linea di pensiero.
Gli Aramirè, naturalmente avevano tutto il diritto di andarsene dopo il concerto alla Carnegie Hall di New York, a cui Raheli nei siti citati sopra ha dedicato un bel po' di scritti anche carini, ma sarebbe stato meglio che questo evento ce l'avesse mostrato come saluto a tutti noi che avevamo amato il suo progetto e il suo stile. Insomma, quello che mi ha fatto infuriare è stato l'aver saputo dell'addio del gruppo da un post sul loro blog, oltre all'aver visto che, insieme al gruppo, finiva ogni traccia anche delle Edizioni Aramirè.
Questo sinceramente non lo trovo giusto, poiché chi sta su un territorio dove un determinato genere di musica è vivo ed effettivamente suonato, ha il dovere di continuarlo a difendere.
Avrei gradito molto, ad esempio, vedere le Edizioni Aramirè diventare un rifugio per tutta quella buona riproposta salentina che oggi mi pare che abbia troppo poco spazio nei cataloghi delle case discografiche specifiche, mi sarebbe anche piaciuto che continuassero a pubblicare gioielli tradizionali come "Bonasera a quista casa" o altri che ancora non possiedo.
Credo che, quando si può, bisogna dare più opportunità possibili alla gente su un determinato repertorio, lasciando poi, naturalmente alla gente il diritto di sfruttarlo come vuole.
Io, ad esempio, stando ad ottocento chilometri dal Salento non potrei mai lavorare con questa tradizione, ma sinceramente, se potessi, io mi intestardirei per difenderla per come la amo, ma gradirei, pur non condividendoli tutti, interventi sul materiale da me eventualmente pubblicato.
Credo poi, e così concludo, che ci dovrebbe essere un codice etico, tramite il quale si obbligano i cantanti a tenere certi comportamenti nei confronti del loro pubblico: io posso esserti grata se sei un buon artista, ma vorrei anche essere da te ricambiata!


g

Nessun commento:

Posta un commento