domenica 22 marzo 2009

Sui cantanti di sinistra underground

Carissimi lettori, oggi vorrei fare una riflessione sull'identità di sinistra tradotta in musica.
Lo scritto parte da una domanda che mi faccio spesso, che mi sono tornata a fare adesso mentre ascoltavo Alessio Lega: ma veramente per essere di sinistra bisogna essere truci e magari anche un pochinino stonati?
In poche parole mi piacerebbe ripercorrere con voi la storia di tutti i cantanti di sinistra che conosco, e vedere se trovo caratteristiche specifiche, diverse dall'aver dimenticato o messo in soffitta l'arte.
Dico subito che, per cantante di sinistra, intendo ogni interprete che non ha trasceso le frontiere politiche, è ascoltato magari da una nicchiettina underground, e non è neanche sopportabile da chi non sia anarchico o di sinistra estrema.
Lasciamo perdere quindi, purtroppo, De Andrè, De Gregori e Guccini che, siccome danno più importanza all'arte come fatto estetico che alla trita politica, sono anche ascoltati da persone di destra, che spesso, e mi permetto di riconoscerlo, magari, proprio perché non ne condividono le opinioni politiche, li capiscono artisticamente molto meglio di quanto facciamo noi.
Voglio essere immediatamente lapidaria: noi di sinistra, politicamente, non abbiamo mai saputo resistere di fronte a problemi grandi e seri ma, quando pativamo sul serio e ci mancava veramente la possibilità di esprimerci, per lo meno eravamo bravi a fare canzoni popolari.
Pensate ad esempio a quei gioielli di musica e poesia che sono i canti di Pietro Gori, da "Addio Lugano" a l'"Inno dei lavoratori del mare", o a certi canti partigiani, da "Bella ciao", la cui versione originale, canto di risaia, io non la reggo, a "Fischia il vento".
In questi casi, dove il canto panphletario sarebbe più che giustificato dato che erano brani creati per una lotta contingente, io sento molto più "soffio artistico" che in moltissime canzoni di gente come Le luci della centrale elettrica, Alessio Lega, o, per far capire che la mia polemica non è rivolta ad una generazione sola di cantanti di sinistra, Paolo Pietrangeli o ancora Ivan della Mea.
Devo dire che l'equazione cantante di sinistra uguale cantante truce, è riscontrabile, per me almeno, solamente in Italia. Solamente qui, infatti, si ha quasi paura di usare l'arte come messaggio, ossia, quando si scrive, si è quasi pudichi e non si ha voglia di usare risorse letterarie come le rime, in maniera da dover obbligare ad un'analisi solamente politica dei brani.
Anche musicalmente si ha uno spauracchio parallelo ma contrario: si ha paura della semplicità. Per intenderci, non è più di moda l'approccio alla "Cantacronache", pionieristico e mai troppo citato progetto di reinvenzione moderna della canzone politica, nel quale si utilizzavano gli stilemi della canzone dominante, per crearne una completamente svincolata ed opposta.
Un esempio geniale di questo sono alcune ballate come "Dove vola l'avvoltoio", scritta da Sergio Liberovici ed Italo Calvino nel 1958, che, ad esempio, ad un'analisi puramente e freddamente musicale potrebbe ricordare "Aveva un bavero" cantata quattro anni prima dal Quartetto Cetra, ma che, ad un'analisi puramente testuale, invece, dimostra il suo essere uno degli inni pacifisti più veri e sinceri che io abbia mai sentito.
All'epoca, quando cioè noi di sinistra avevamo un'identità vera e non ci volevamo ghettizzare per forza ma ci ghettizzava il sistema, ci distinguevamo per ciò che dicevamo, adesso ci dobbiamo distinguere con una crudezza insopportabile, una sguaiataggine di voce inascoltabile, una tristezza che non è vera, perché l'unica tristezza degna di essere chiamata tale, è quella di colui che soffre vere privazioni sulla sua pelle.
Quando valevamo qualcosa, andando avanti nel tempo, ad esempio, ci si affidava a voci di gente davvero scomoda, come quella del bolognese Pierangelo Bertoli, il quale era meno underground dei cantanti di sinistra d'oggigiorno, ma vi posso assicurare che non mi risulta che avesse dedicate tutte le rutilanti pagine di stampa a cui Alessio Lega fa riferimento nel suo myspace.
Infatti io mi chiedo anche: quanto sarà voluta dal sistema dei giornalisti musicali quest'etichetta di cantanti underground, che non hanno in comune niente con i cantanti di musica commerciale all'infuori dei difetti?
Infatti spesso si dice che Tiziano Ferro sia stonato, è verissimo e a me non è mai piaciuto, ma non vi credete che Alessio Lega, solo perché è compagno di lotta a chiacchiere e canzoni, sia meno stonato di lui!
Sarebbe ora che noi tornassimo ad avere artisti sereni, che non si scordino di essere artisti, oltre ad aiutarci a far nascere in noi qualcosa di veramente autentico, che porti alla nascita di una sinistra vera, capace di produrre una cultura veramente alternativa, che possa però anche dialogare con il sistema dominante, senza esserne mangiata.
Mi piacerebbe, in poche parole, che si tornasse al clima di trent'anni fa, in cui noi non eravamo underground, sia perché c'erano trasmissioni come "L'altro suono", dedicata alla vera musica popolare italiana, sia perché noi ci intestardivamo a fare musica che fosse bella e potesse essere ascoltata da tutti anche solo come semplice musica cantautorale.
Non mi è capitato personalmente di conoscere persone di destra che amassero Claudio Lolli, ma non dubito che ce ne possano essere, magari poche ovviamente. Dubito, invece, che possano esistere persone di destra che possano anche solo sopportare Alessio Lega e tutti gli attuali cantanti della sinistra underground, perché è tutta gente che marcia solo sul messaggio politico e non ha alcuna forza artistica.
Io stessa, che vi posso giurare che non voto per Berlusconi tanto meno per Storace, preferisco ascoltare un Fausto Amodei, cantautore politico che ha dipanato la propria attività per cinquant'anni e di cui in questo sito si è già parlato, ma più per la sua forza artistica e per la sua verve letteraria, che per il suo retroterra politico-culturale, che poi spesso combacia con il mio.
Voglio concludere questo scritto dicendo, per l'ennesima volta in vita mia ma per la prima volta qui sul blog, che ogni artista deve essere prima di tutto un artista quindi libero da vincoli, poi può e deve mettere la propria arte al servizio di ciò che crede.
Non si è più artistici se si fanno accozzaglie allucinate di termini e meno se si scrivono canzoni logiche, sarebbe meglio che si alternassero i vari stili. Sarebbe poi meglio che non si confondesse l'impegno con far venire alla gente un magone grosso così, come io avevo mentre sentivo Alessio Lega.
Trovo infinitamente più coraggioso un Luca Carboni che riprende i classici italiani della canzone di lotta anni 70 nel cd "Musiche ribelli", o gli Officina Zoè di un brano come "Macaria", invito per niente implicito ad un ritorno all'onestà in tutti i sensi, piuttosto che gli scimmiottatori del punk o dei cantautori francesi classici.
Sinceramente, negli altri paesi mediterranei che conosco, specialmente Spagna e Portogallo, ci sono fior fiore di artisti di tutte le generazioni, che si dedicano ad una musica impegnata ma fruibile, riflessiva ma piacevole, ricca di contenuti ma leggera.
Il giorno in cui, anche in Italia, rinascerà anche un solo cantante che non si faccia digerire dal sistema ma usi i suoi mezzi come arma di lotta, sarà rinata una vera e serena cultura della sinistra.

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