lunedì 16 marzo 2009

Francesco Guccini: Fra la Via Emilia e il west

Carissimi lettori, scusate l'invadenza, ma ho voglia di raccontarvi la mia storia musicale, ed ho ancora molto da dire.
Ho accennato nel primo post che in questo blog si sarebbe parlato molto anche di cantautori italiani.
Eccone un esempio: voglio parlarvi di uno dei dischi fondamentali di uno dei più importanti cantautori italiani: Fra la Via Emilia e il West, di Francesco Guccini.
E' un disco che mi arrivò, quando avevo appena cinque o sei anni, in cassetta incisa da vinile, da Venezia.
E' l'album più perfetto di tutta la discografia gucciniana, ed è quello essenziale per un primo approccio.
Non vi si trova infatti niente da eccepire, per quanto riguarda gli arrangiamenti, l'interpretazione o l'intensità del rapporto col pubblico.
Il cd è suonato dalla formazione che da sempre accompagna Guccini: Ellade Bandini batteria; Ares Tavolazzi contrabbasso e basso; Juan Carlos "Flaco" Biondini chitarra; Vince Tempera tastiere; Antonio Marangolo ai sassofoni, oltre allo stesso guccini che, ancora, non era "neghittoso" nel suonare la chitarra acustica.
Il cd, come tutti i concerti di Guccini, che io chiamo "guccinastro", si apre con "Canzone per un'amica", brano che in questa occasione riesce, mantenendo la radice rock datagli dai Nomadi, ad assumere una componente più rustica, che permette al cantautore di darne un'interpretazione senza smagliature.
Si continua con "Autogrill", uno dei pochi brani non ispirato a Guccini dalla sua quotidianità, che, rispetto alla versione originale, conosciuta da me recentemente, arriva ad avere una forza evocativa notevole, anche se, devo ammettere, che non è uno dei miei preferiti del cantautore bolognese.
Si continua poi con "Il vecchio e il bambino", canto più bucolico che altro, per ammissione dello stesso Guccini, che qui, grazie alla predominanza delle chitarre acustiche, che in radici venivano aiutate e quasi coperte dagli strumenti sintetici, acquista una grandezza quasi assoluta.
E' un brano a cui sono molto legata, anche perché molti aspetti di questo brano, sono stati vissuti direttamente da me con mio nonno che, anche se non mi raccontava fiabe, perché non ne sapeva raccontare, mi ha accompagnato ed è stato per me una guida insostituibile.
Come per coerenza, si continua con "il pensionato", ritratto di un vicino di casa del "Guccinastro", eseguito con pennellate tenere e perfette.
L'arrangiamento, rigorosamente a milonga argentina, fa sì che l'ascoltatore non debba stare a seguire virtuosistici giri di chitarra, potendo così concentrarsi sul testo, che viene spalmato su un accompagnamento musicale impagabile.
Si continua con "Asia", uno dei brani che amo di meno di Guccini, anche perché non ho mai capito bene il significato e la filosofia musicale che stanno dietro all'album "L'isola non trovata" che originariamente conteneva il brano.
Si prosegue poi con una perla estratta da "Radici", la triste, filosofica ed interiore "Canzone della bambina portoghese".Musicalmente è una poliritmia, qui si vede l'influenza di Fausto Amodei, che d'altronde Guccini ammira, mentre il testo è almeno uno sdoppiamento tra una parte filosofica ed un'altra propriamente narrativa.
Arriva poi uno dei tanti ritratti d'osteria del cantautore bolognese, uno dei più teneri, "Canzone delle osterie di fuoriporta".
Facendo un confronto con la versione da studio incisa dieci anni prima nel 1974, si potrebbe dire che il brano nasce ufficialmente, se intendiamo per brano una alchimia tra musica e testo, con la versione dal vivo.
Sono avallata in questa mia convinzione dal fatto che Guccini, dopo "Stanze di vita quotidiana", appunto il disco del '74, licenziò Pier Farri, che ne era stato l'arrangiatore.
Il brano, infatti, originariamente era molto ispirato a stilemi propri del rock "progressivo", a cui Guccini, dylaniano della prima ora, non si adattò mai. Nella versione dal vivo, invece, la canzone acquista un'aria di ballata, che evidenzia la tristezza e la tenerezza del testo.
Il primo compact si chiude con "Il frate", sarcastico ma tenero ritratto di un personaggio un po' stravagante conosciuto dal "maestrone". Il brano, tratto anche questo dall'"Isola non trovata", è caratterizzato quasi da una forza speciale, che non saprei definire altrimenti, originata forse dall'influsso dei cantautori francesi.
Il secondo cd si apre con un esempio di discorso fra amici, di quelli che costellano spesso i concerti del cantautore quando si sente in vena (e le volte che l'ho visto ci si è sempre sentito). Il discorso verte sul perché di questo titolo, ripreso dalla canzone "Piccola città", che è d'altronde quella che si sente subito dopo.
Voglio pensare, anche se non so quanto sia vero, che questo brano messo in questa posizione non sia un caso.
Si deve ricordare o sapere, infatti, che, anche se questo disco si conta come il terzo live di Guccini, è effettivamente il primo che egli esegue con repertorio e gruppo ufficiale.
Il brano resta stabile, rispetto alla versione dell'album "Radici", anche se, forse, acquista una maggiore cantabilità.
A proposito di ritratti cittadini, con città importanti come sfondo, eccone due: il primo è "Venezia". Il brano parte da una serie di amare riflessioni sulla morte da parto di una donna a Venezia, mentre questa città se ne infischia assolutamente, continuando a vivere la propria vita.
C'è poi bologna che, senza cadere nel folklorismo, d'altronde ironicamente sbefeggiato nella parte: "Ah quanti poeti ti cantano,cullando i cliché della gente,cantando canzoni che è come cantare di niente", è uno dei ritratti più riusciti della città più importante dell'Emilia.
Si fa riferimento, com'è tipico di Guccini, ad unh fatto di cronaca, in questo caso la strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Questa tendenza a partire dall'attualità, spesso da eventi pubblici, ha portato molta gente a definire Guccini come "cantastorie". E' ingiusto perché il cantastorie non "digerisce" il fatto di cronaca, ma lo commenta appena avvenuto, cosa che gli permette di soffermarsi su eventi di una piccolezza che molto raramente attrarrebbe un cantautore.
Il disco di Guccini, prosegue poi con Eskimo, insuperabile inno del 68, scritto già dieci anni dopo, così da contenere una tenerezza profonda, data anche dal fatto che il brano si basa su una "Questione privata" dell'autore stesso.
Subito dopo troviamo un'altra ballata di stile americano, con il finger piking di Guccini molto in evidenza. E' "Incontro", uno dei più teneri brani del cantautore bolognese. Qui si fa una riflessione agrodolce sul tempo e sul fatto che sia naturale che esso prenda e dia. La canzone parte dal ricordo di un antico amore, forse rivisto anni dopo.
Ed ecco "Vedi cara", che è forse la miglior descrizione, insieme a "Quelli come noi" del conterraneo e collega di Guccini Claudio Lolli, di certi temperamenti artistici che corrono "dietro a frasi di canzoni", "dietro a ciò che non sarà".
Si prosegue con una delle primissime canzoni del cantautore, pubblicata in lp su "L'isola non trovata" ma già edita in singolo, "Un altro giorno è andato". E' un pezzo sulla fugacità di tutto ciò che ci appartiene, tema molto sfruttato in letteratura e in musica, ma mai sufficientemente presente alla psicologia umana.
Il finale è da brivido. Si parte infatti con "Canzone quasi d'amore", ripresa in una versione più spagnola, un pochino "aflamencada". Non è un'influenza evidente, come poteva essere "Il vecchio e il bambino", ma questa anima quasi andalusa, si riverbera nel canto di Guccini che, finalmente, rispetto alla versione in studio, si spoglia di una certa accademia.
Se i concerti di Guccini si aprono con "Canzone per un'amica", è altrettanto inevitabile che si chiudano con "La locomotiva".
E' una canzone che, come è affermato dallo stesso Guccini, ha la struttura che ha perché è un tributo al canzoniere anarchico, quindi anche alla sua retorica e ridondanza.
Con gli anni, e negli ultimi concerti questa caratteristica si era fatta quasi "tirannica", il brano si era andato velocizzando sempre di più, arrivando adesso, nella versione esaminata, ad essere una milonga uruguayana, cioè più veloce.
Voglio dire a tutti i gucciniani: riscoprite questo disco, se non l'avete magari apprezzato, e fatene dono a persone che vi dicano di essere incuriosite dal "Guccinastro".

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